Anche l’ultimo Mancini ha fatto cose buone: inventarsi Retegui italiano

 Anche l’ultimo Mancini ha fatto anche cose buone. Per esempio inventarsi Retegui italiano. Mateo Retegui, in arte El Chapita, 25 anni, un papà procuratore, mediatore, qualcosa del genere, chi lo sa, e poi mamma Maria, la sorella Micaela, le spalle voltate all’Argentina per mettere la maglia azzurra dei suoi avi. La prima volta sbarcò da oggetto semi-misterioso. Dormì nell’albergo di fronte all’aeroporto, faticò a prender sonno e passò qualche ora al telefono con gli amici di Buenos Aires.

Scoprimmo che lo voleva l’Udinese, lo voleva la Lazio, lo voleva l’Atalanta. Quando il suo nome cominciò ad avere mediaticamente le spalle larghe, i giornaloni poterono cominciare ad accostarlo alle squadre del bacino d’utenza con la classica formula: piace all’Inter, Milan e Juventus si sono informate. È finito al Genoa. Per il nuovo cittì Spalletti non fa alcuna differenza. Mancini aveva il dilemma di un ballottaggio tra quelle che dovevano sembrargli due mezze soluzioni, Immobile o Belotti. Tre anni dopo, Spalletti le ha licenziate entrambe e se non vuole mettere tutti i suoi gettoni sul pungiglione leggero di Raspadori, deve imparare a fidarsi del taurin Mateo. 

 Embed from Getty Images

 

PUZZLE  |  CHE COSA SI DICE IN GIRO

| Tirava aria di Sudamerica, contro il Venezuela, e Retegui ha colpito. Alessandro Bocci sul Corriere della sera ha scritto che è forte la tentazione di pensare che forse, dopo tanto penare, l’Italia ha il suo centravanti. Ma non basta una partita. Una partita in cui l’Italia gli è parsa per troppi minuti lenta, confusa, pericolosamente distratta in difesa. Una squadra alla ricerca d’identità. Spalletti cerca vie nuove rispetto al 4-3-3 con cui ha trovato la qualificazione all’Europeo a novembre, ma serve tempo. Il calcio fluido, che va inseguendo, ha bisogno di lunghe sedute e molte prove dentro Coverciano. Per adesso c’è tanta buona volontà e la voglia di non arrendersi a un pareggio che sembra scritto

| Paolo Tomaselli, ancora sul Corriere della sera, a Retegui ha dato 7 in pagella: Cerca di dare profondità a costo di sentirsi solo come un palombaro. Alla prima vera occasione, come spesso gli succede, non sbaglia. E nemmeno alla seconda, decisamente più costruita. Spietato. E incoraggiante.

| Fabio Licari sulla Gazzetta considera: Abbiamo un centravanti, Retegui, due palloni buoni e due gol, Vinciamo 2-1 un’amichevole anche divertente, con Donnarumma che para un rigore dopo tre minuti. E tanta sofferenza per almeno un tempo, quando il nuovo sistema tattico, la difesa a tre, declinato forse con un po’ di approssimazione, ci mette sempre in inferiorità e ci espone alle ripartenze. Tantissimi gli errori. Meglio nella ripresa quando Barella sistema la mediana e poi nel finale, con l’impatto decisivo di Jorginho e soprattutto Zaniolo

Anche Luigi Garlando, ancora sulla Gazzetta, pare convinto che abbiamo un portiere che para e un 9 che fa gol. Non è poco, ragazzi.

| Massimo Basile su Repubblica evidenzia come i tre episodi chiave prima del gol decisivo siano nati tutti da errori nella costruzione del gioco da dietro: La colpa non è né di Romo o di Donnarumma o Bonaventura, ma di Pep Guardiola: questa mania di ricamare il gioco dal basso stava producendo danni, fino a quando un silenzioso centravanti argentino che ha scelto l’Italia non ha ricordato a tutti cosa deve fare un ‘9’: buttarla dentro.

| La voce più fredda è stamattina quella di Antonio Barillà su La Stampa. Trova che l’Italia mette a nudo lacune tattiche e limiti tecnici da non sottovalutare. Simbolo della delusione, a metà partita, Bonaventura lasciato nello spogliatoio dopo una prestazione oscura e un gentile omaggio a Machis, ma siamo sicuri che il trequartista della Fiorentina sia solo spot di una serata opaca e non, allargando il raggio, di un campionato modesto? Nessuno intende tirargli la croce addosso, certo però che se il ct, ormai in prossimità dell’Europeo, ritiene opportuno insistere su un 34enne che ha visto la Champions League solo in tv, richiamato in azzurro dopo tre anni di oblio, significa che il movimento è in crisi, il livello basso, le possibilità di scelte scarne.

| Albero Polverosi sul Corriere dello sport-stadio spiega che Bonaventura ha giocato col cuore pesante. Il minuto di silenzio prima della partita lo riporta al dramma vissuto dalla sua squadra con la scomparsa di Barone. Non è facile ripartire subito, ci prova e si batte tanto, fino all’errore clamoroso che riporta il Venezuela in vantaggio. Un errore non da lui e che gli costa la sostituzione

 

MA QUANTO SI GIOCA

Con l’aumento delle partite in Europa non c’è sosta. Giorgio Marota sul Corriere dello sport-stadio fa notare che da Euro 2024 al Mondiale per club del 2025, potremmo avere fino a 88 partite in stagione. Sarà un calcio alla salute. Il calendario  intasato  arricchisce  le società  indebitate  ma crea un gap con le piccole e fa infortunare di più gli atleti:  il sistema creato da Uefa e Fifa è già arrivato a un punto di non ritorno.

Proprio stamattina L’Équipe illustra l’ultima idea della FIFA mai a corto di novità, scrive. Si tratta delle FIFA Series, partite destinate a facilitare gli incontri amichevoli tra squadre di continenti diversi. Quelle che alla fine non si sfidano mai. Per questa prima edizione partecipano 24 nazioni. Sono divise in sei gironi da quattro e in ciascuno ci sono almeno tre confederazioni. Il colosso di questa prima edizione è la Croazia, inserita in un girone con Tunisia, Egitto e Nuova Zelanda. Tra le partecipanti, diverse si trovano oltre il 100esimo posto nel ranking: Papua Nuova Guinea, Mongolia, Vanuatu, Bhutan, Brunei, Sri Lanka e Bermuda. 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.