Ode a Caitlin Clark, ma pure a Dawn Staley, l’allenatrice che fa grande la Carolina del Sud

    AMERICHE

 

Ode a Caitlin Clark. Anche se ha perso il campionato. Ode a Caitlin Clark perché Il basket universitario femminile è diventato un fenomeno culturale grazie a lei. Le arene sono state piene fino al tutto-esaurito. Con lei sono stati battuti i record di presenze e di triple, i biglietti per la final four femminile sono stati venduti al doppio del costo di quelli maschili. Il faccia-a-faccia ti-vedo-non-ti-vedo con Angel Reese ha fatto 12 milioni di telespettatori in America. 

 

    La NCAA nell’età di Caitlin Clark – ha scritto il Washington Post nella sezione Opinioni a cura dell’Editorial Board – sembra la NBA nell’età dei Chicago Bulls di Michael Jordan, oppure sembra il calcio nel giorno in cui Brandi Chastain vinse la Coppa del Mondo e si strappò di dosso la maglietta restando in reggiseno. È in una fase di passaggio verso qualcosa di più grande e incontenibile. Sta dando l’addio a quell’età in cui gli allenatori dovevano supplicare gli amici di andare a vedere le partite, dentro palestre fatiscenti da cui i maschi nel frattempo erano scappati. Il titolo IX, legge federale del 1972, ha imposto l’uguaglianza tra gli sport universitari, ma solo i primi anni 2000 hanno portato la pallacanestro femminile all’attenzione del pubblico USA, quando Diana Taurasi e Sue Bird hanno messo il rock ‘n roll dentro i loro canestri. Ecco, ora tocca alla NCAA scoprire nuove mete, mentre la WNBA si prepara ad accogliere Clark e Reese, pregustando altri sold-out qua e là.

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Prima della finale, il Washington Post ha scritto che chiunque avesse finito per vincere a Cleveland, avrebbe reso ogni giocatrice del torneo parte di qualcosa di più grande della March Madness 2024. Questo campionato ha dato alle ragazze americane qualcosa a cui ambire.

Ode a Caitlin Clark per tutto questo. L’ha detto alla fine della partita anche la donna che l’ha battuta e che prima di lei aveva sognato di arrivare dove siamo. Si chiama Dawn Staley, una signora di 53 anni nata a Philadelphia, capo allenatrice delle South Carolina Gamecocks, tre medaglie d’oro olimpiche da giocatrice con le USA, una quarta come coach in panchina, portabandiera americana alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Atene. Dalla Carolina del Sud veniva la sua famiglia. Clarence ed Estelle, mamma e papà, si erano trasferiti a Philadelphia da adolescenti e si sono sposati giovani, nel 1967, trasferendosi in una casetta a schiera con tre camere da letto e un bagno singolo nel complesso residenziale delle Raymond Rosen Homes. Lui un falegname part-time, lei una casalinga. Hanno cresciuto cinque figli, tre maschi e due femmine, usando anche le maniere dure, ecco perché Dawn Staley dice che ha imparato presto a rispettare le regole. 

 

 

    ORME

Il lavoro di Dawn Staley

 

Ode a Caitlin Clark, allora, ma pure a questa signora da sempre al vertice della NCAA, prima che la NCAA fosse così cool, quando giocava nella Virginia o quando ha iniziato ad allenare al Temple Philadelphia. Jason Gay sul Wall Street Journal la incorona come una delle più grandi di sempre che si sia mai seduta su una panchina, uomini compresi. 

Agli allenatori universitari – dice – non è mai stato chiesto di fare così tante cose: allenare, reclutare giocatrici, fare da mentore, sostenere, innovare, facilitare, raccogliere fondi, promuovere, e non sono nemmeno arrivato ancora a parlare del neocapitalismo introdotto dalla possibilità di firmare per degli sponsor. Devono navigare in un caos perpetuo di amministratori, sostenitori, social media, vecchi media, pazzi del gioco d’azzardo online.  Ah giusto: e poi devono anche vincere. Devono vincere sempre.

Staley viene definita un concentrato di esperienza e carisma, perché fa tutto questo da tempo e come nessun altro oggi. Il trionfo di domenica contro l’Iowa ha portato in Carolina del Sud il secondo campionato in tre stagioni, il terzo con lei alla guida. Le Gamecocks hanno chiuso la stagione senza aver mai perso in 38 partite. Hanno vinto 74 delle ultime 75 partite, l’unica sconfitta era arrivata proprio contro Iowa nella semifinale dell’anno scorso. Negli ultimi tre anni: 109 vittorie e 3 sconfitte.

 

    LA SQUADRA |  Staley in estate aveva rifatto la squadra daccapo. Aveva perso cinque titolari e le Gamecocks non partivano certo come favorite. Erano un groviglio di matricole non testate scrive il Wall Street Journal, ma Staley le ha costrette a crederci, affidando responsabilità da adulte a studentesse del primo anno

Ha portato il centro Kamilla Cardoso alla celebrità. Ha dato a matricole come MiLaysia Fulwiley e Tessa Johnson [19 punti in finale] una strada su cui mettersi in cammino per crescere. 

La perfezione dell’imbattibilità – dice il Wsj – è uno standard assurdo nello sport, la pressione può divorare una squadra; a molti allenatori non dispiace perdere una o tre partite a gennaio

A Staley questa roba non ha fatto né caldo né freddo. È rimasta asciutta, composta, distaccata, perfino nella sera più bollente, un mese fa, quando la partita contro Louisiana State è finita in rissa. Ha preso il microfono durante i festeggiamenti e si è scusata per l’assurdità di quelle scene, «non è quello che siamo – ha detto – non è quello che ci interessa essere. Ha gestito benissimo le domande ripetitive su Caitlin Clark e l’ha ringraziata per aver sollevato un intero movimento. L’ha chiamata Goat, la più grande di sempre, lei che appartiene a una generazione di giocatrici che a Clark [e Reese, e Cardoso e tutte le altre] ha di fatto aperto la strada. 

Ha gestito una vigilia che in conferenza stampa stava diventando una trappola, quando le hanno chiesto cosa pensasse della partecipazione alle gare femminili di atlete reduci da un percorso di transizione di genere. L’anno scorso lo stato della Carolina del Sud, a guida repubblicana, ha approvato delle leggi che vietano la possibilità di parlare a scuola di identità di genere e sessualità fino alla quarta elementare, oltre a vietare alle ragazze transgender di giocare nelle squadre femminili dalle scuole medie e superiori fino all’università. Anche lo stato dello Iowa ha una legge analoga dal 2022. Staley ha fatto un sospiro, ha citato la porzione infinitesimale dei casi in questione e ha detto che «se sei una donna dovresti poter giocare con le donne. Se ti consideri una donna e vuoi fare sport, o viceversa, devi poterlo fare. È la mia opinione. Ora una tempesta di commenti inonderà la timeline dei miei social e sarà una distrazione per me in uno dei giorni più importanti della stagione, ma va bene così. Lo penso davvero».  

 

Ode a Caitlin Clark, ma allora pure a questa donna che si è adattata a un panorama in costante cambiamento, incontrando una nuova generazione di atlete che esprimono le loro ambizioni dentro e fuori dal campo. Le Gamecocks si getterebbero nel fuoco per lei. Ne arriveranno altre, perché tutte troveranno fantastico giocare per la Carolina del Sud

È una delle poche allenatrici a suo agio nel parlare di soldi. Ha un contratto da 3 milioni di dollari all’anno. È sincera quando dice di amare il basket universitario. A un certo punto ha confessato di aver preso in considerazione l’idea di ritirarsi, l’estate scorsa. Non riusciva a dare un senso a questa sua nuova squadra, che sulle spalle porta pure il peso di uno stato che non ha franchigie negli sport professionistici, la South Carolina di Joe Frazier, Alex English, Kevin Garnett. Poi Staley ha capito dove stava l’interruttore: e clic. 

I capi migliori – dice il WSJ – fanno questo.

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