Storia di Aya Nakamura, la cantante “non abbastanza francese” per le Olimpiadi

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  Sei la cantante francese più seguita al mondo. I tuoi pezzi hanno raggiunto i 7 miliardi di ascolto in streaming. L’anno scorso hai fatto il tutto-esaurito per tre concerti a Parigi vendendo i biglietti nel giro di quindici minuti. Con una miscela di afrobeat e zouk caraibico, hai portato l’immaginario della musica francese oltre la linea de La vie en rose, Jacques Brel, eccetera eccetera. Che cos’è che non va? Perché non potresti cantare i pezzi di Édith Piaf alla tua maniera alla cerimonia d’apertura delle Olimpiadi?

 

CHI È 

Aya Nakamura ha 28 anni. È cresciuta in un complesso residenziale nella banlieue di Seine-Saint-Denis, a nord di Parigi, il quartiere di Kylian Mbappé, proprio quello che i Giochi intendono mostrare e celebrare. Ha preso il nome d’arte dal film Heroes. È stata scoperta dopo aver pubblicato da sola i suoi pezzi online, pensati nella sua cameretta e con i testi scritti sul telefono

Aya Nakamura è nata in Mali, ecco cosa non va, la provenienza della sua famiglia sta facendo dire all’estrema destra che lei non è abbastanza francese per rappresentare il paese nel momento in cui andrà narrata davanti al mondo la sua storia, come succede nelle cerimonie d’apertura alle Olimpiadi. Nulla che la Francia non abbia conosciuto. Rachida Dati, ministra della Cultura nel governo Attal, sta mettendo in guardia dal razzismo puro. Lilian Thuram ha detto: «Quando la gente sostiene che Aya Nakamura non può rappresentare la Francia, su quali criteri si basa? Li conosco, quei criteri. Sono gli stessi che usavano quando ero calciatore io, quando qualcuno diceva che la nazionale non rappresentava la Francia, perché c’erano troppi neri».  La nazionale che ci fece credere all’illusione della convivenza serena tra le radici diverse del paese. 

 

  LA SUA MUSICA

Per screditare Aya Nakamura senza passare per razzisti, in Francia stanno dicendo le stesse cose che in Italia si sono sentite su Mahmood e Geolier. Non si capisce, maledizione, ma che musica sarebbe, cantano e non si capisce cosa dicono, uno in napoletano, l’altro boh non si sa neppure che lingua sia. Venire dai margini resta una colpa. Con Aya Nakamura è lo stesso. Libération ha chiesto al ricercatore universitario Théo Blauwart di spiegarci bene la sensatezza di questa storia. Ovviamente non ne ha. Blauwart – che si dedica ogni giorno allo studio del canto popolare – dice che una canzone è un’opera complessa, eterogenea, concepita fin dal momento della sua creazione come una fusione di testo e musica. Considerare solo il testo è un’assoluta sciocchezza. 

La scelta del lessico dipende dalla sua stessa dizione. In questo senso, non possiamo che ammirare Édith Piaf, il cui marchio artistico riconosciuto è quell’uso atipico della voce, in particolare le sue erre trascinate e arrotolate. Questo modo di cantare è una delle tante tracce delle sue origini popolari e testimonia abitudini antiche, lontane dalla pratica della lingua esercitata dalle élite 

  

È quel che fa oggi Aya Nakamura, quando moltiplica i suoni vocali in tante delle sue canzoni, dando un posto d’onore all’inglese, allo slang maliano, a un mix linguistico tipico di certe aree popolari che si riconoscono in questo uso della lingua. Attraverso il suo successo – continua Blauwart – permette alla lingua popolare di raggiungere una parte della popolazione ancora ignara di questo uso così vivo e portatore di ricchezza. Il punto è che persiste una certa forma di disprezzo istituzionale nei confronti dell’arte del canto, verso la sua semplicità e il suo carattere popolare. Eppure, proprio qui risieda la sua ricchezza

Libération ha titolato l’intervento del ricercatore dell’Università d’Aix-Marseille puntando sul paragone che fa tra le onomatopee di Nakamura con quelle di Piaf, accostando il bla, bla, bla d’la pookie di oggi al padam, padam, padam della illustre matrice. Perché Nakamura non potrebbe rifare Piaf? 

È chiaro che non ha la sua stessa voce: ma è questo che le chiediamo? Senza offesa per i retrogradi, la Francia di oggi non è più quella di ieri. Piaf ci restituisce nei testi l’immagine di una donna dedita all’amore, la cosa verso cui tende necessariamente la sua esistenza. Nakamura sostiene al contrario l’immagine di una donna forte e indipendente, per la quale l’amore non può e non deve essere un ostacolo allo sviluppo personale. La sua voce è quella di una donna libera nella sua sessualità, a volte delusa nei sentimenti, forte di fronte alle avversità e alla violenza. Questa immagine femminile emancipata è l’immagine della donna del 2024. La sua irriverenza sorprende e infastidisce. Cosa aspettarsi allora da una cover di Piaf fatta da Nakamura? Innegabilmente delle novità nel testo e nell’interpretazione che ne verrà fatta, un messaggio tutto nuovo di affermazione e di emancipazione

 

LA SUA FEMMINILITÀ

Troppo, francamente troppo, per giunta alla vigilia di elezioni europee segnate dalla contrapposizione di due blocchi, i sovranismi e i populismi sparsi per il continente contro i portatori di una visione unitaria, faticosa certamente, affannata, dal passo incerto, eppure legata al sogno originario di un solo posto che contenesse differenze. Sulle rive della Senna, i militanti dei partiti di destra hanno esposto uno striscione. Dice: questa è Parigi, non il mercato di Bamako. 

In difesa della ipotesi che Aya Nakamura canti alla cerimonia del 26 luglio è sceso dall’Inghilterra il Guardian, addirittura con tre interventi pubblicati nel giro di una settimana. Il 16 marzo Angelique Chrisafis ha raccolto le testimonianze dell’indignazione. Aya non parla solo un francese poetico, ma il francese dei giovani”. Mekolo Biligui, giornalista musicale esperto di rap, sostiene che «questa lite la dice lunga su cosa sia il razzismo in Francia. Quando il rapper Youssoupha venne scelto dalla nazionale di calcio per registrare l’inno a Euro 2021, si scatenò una polemica analoga. Quando il rapper Black M avrebbe dovuto esibirsi in occasione del centenario della battaglia di Verdun, se ne accese un’altra. La lista comincia a essere lunga. Ciò che questi artisti hanno in comune è che sono neri. In Francia c’è un problema con gli artisti neri. Per molto tempo la Francia ha saputo nascondere il suo razzismo. Ora non ci riesce più».

 

 

Christelle Bakima Poundza è l’autrice del libro Corps Noirs, dedicato alla presenza di donne nere nella moda francese. Ricorda che la pluripremiata copertina di Vogue Francia con il volto di Nakamura è stata la prima per un’artista nera francese, ed è arrivata solo nel 2021; inoltre ritiene che ci sia stata troppa lentezza nel difendere Nakamura dalle posizioni dell’estrema destra. 

Tre giorni dopo sul Guardian è intervenuta Rokhaya Diallo, autrice, regista, conduttrice tv, attivista. Diallo cita un sondaggio secondo il quale il 73% dei francesi pensa che Nakamura non rappresenti la musica nazionale, il 63% si oppone all’idea che sia lei la protagonista dello show. Quando ho intervistato Nakamura l’anno scorso per GQ France – racconta Diallo – mi ha detto di sentire il disgusto viscerale che suscita tra le persone disabituate a vedere ragazze come lei in ruoli pubblici. Come accade alla maggior parte delle donne nere, nonostante la sua fama, viene spesso scambiata per altre donne. Una petizione contro la sua partecipazione alle Olimpiadi a causa della sua presunta volgarità ha utilizzato una foto della rapper americana Megan Thee Stallion

Diallo riferisce allora come Nakamura sia stata snobbata nel tempo dai Grammy francesi [Victoires de la Musiques]. Nel 2022 il premio come migliore artista è andato a Pomme, cantante bianca, indignata per essere stata votata a discapito di «un’artista nera che non viene dal centro di Parigi e che non è così privilegiata come me». Il fatto è che il personaggio pubblico di Nakamura è impenitente – scrive Diallo – e potrebbe essere il motivo per cui suscita una reazione così ostile in un paese che tende a chiedere umiltà e gratitudine alle minoranze. In qualità di ambasciatrice di un marchio di bellezza, sfida l’immagine classica della parigina, rendendo invece mainstream i tratti alti e la pelle scura. Quasi come punizione, le sue parole sono controllate una per una, i suoi testi vengono derisi, letti nei programmi televisivi – come se non dovessero essere accompagnati dalla musica. Mi fa venire in mente gli atteggiamenti che prevalevano quando la missione della Francia coloniale era quella di civilizzare i selvaggi. Alcuni di noi sostengono da tempo che la Francia non è disposta a concedere alle persone nere lo status che meritano. La controversia su Nakamura conferma quanto profondamente radicato sia realmente questo rifiuto.

 

  IL QUADRO POLITICO

Il terzo intervento è perfino più rumoroso. Il Guardian lo ha pubblicato lo scorso week-end nella sezione degli editoriali e non è firmato. Nella convenzione dei giornali è dunque da attribuire alla direzione. Viene infatti presentato come il punto di vista del Guardian

Le cerimonie di apertura dei Giochi Olimpici – si legge – sono un’opportunità per le nazioni di raccontare una storia positiva al mondo e a sé stesse. Questo fece nel 2012 Danny Boyle a proposito di una Gran Bretagna multiculturale. Una narrazione molto meno edificante sta prendendo forma oltremanica

Il Guardian cita le posizioni di Marine Le Pen e parla di feroce sfogo di bile da parte dei politici di estrema destra, intenti a sorvegliare i confini della francesità secondo convinzioni palesemente razziste. I Giochi Olimpici di quest’estate a Parigi – conclude il Guardian– seguiranno le elezioni europee che sembrano sempre più un bivio per la politica e la società francese. I sondaggi indicano in modo deprimente una vittoria a giugno per il Rassemblement National, gruppo di destra radicale di Le Pen, in vista delle elezioni presidenziali del 2027. La derisione e gli abusi nei confronti di Nakamura offrono uno sgradevole scorcio di cosa potrebbe diventare quel futuro distopico in Francia.

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