Fumo di Mura. Tre anni senza Cattivi Pensieri

Se non avessi avuto le sigarette, sarei morto

Walter Sabatini

 

Da qualche settimana in Italia si discute del proposito del ministero della Salute di estendere il divieto di fumo ai tavoli all’aperto di bar e ristoranti, alle fermate all’aperto di metro, bus, treni e traghetti, nei parchi in presenza di bambini e donne incinte. In alcuni Comuni sono già stati adottati provvedimenti simili, da oggi a Modena sarà proibito fumare nelle aree adiacenti i servizi per l’infanzia, asili nido, aree gioco, e nei pressi degli uffici pubblici, di scuole, università, cimiteri.

È un piccolo spunto per ricordare Gianni Mura, nel giorno del terzo anniversario della sua morte. Slalom propone una sua galleria di interventi sul fumo e sulle sigarette. 

 

I divieti

▔▔▔▔▔▔

Una bugia ai tornelli

Esemplare manovra anticrimine domenica a Roma, prima di Lazio-Inter. Se posso espormi, trovo primario lottare contro la violenza ma non secondario lottare contro la stupidità. Tra l’altro, l’Olimpico non è Bergamo o Milano, dove una monetina può fare molti danni, il campo è parecchio distante dalle tribune. Una domenica a Pescara hanno sequestrato le cinghie dei calzoni. Avanti di questo passo bisognerà depositare i mazzi di chiavi, le stampelle, le scarpe coi tacchi a spillo, le dentiere, le radioline. All’ingresso-stampa i carabinieri chiedevano “ha degli accendini?”, non per fumare ma per bloccare questi micidiali oggetti fuori dallo stadio. Visto che al tizio davanti a me hanno preso l’accendino, ho detto “non fumo” con aria convinta e sono passato. Mi autodenuncio: avevo due accendini e due scatole di cerini (non si sa mai). E non ce l’ho coi carabinieri, eseguivano ordini dall’alto, come si usa dire (sempre dall’alto arriva qualcosa, dal basso mai nulla). [Repubblica, 6 ottobre 1991]

 

La lettera al FBI prima di USA 94

Spettabile Fbi, sono lieto di comunicarVi che in data di ieri la segreteria di codesto giornale ha provveduto a inoltrare al comitato organizzatore di World Cup Usa 94 la mia autorizzazione a investigare sul mio passato per eventuali carichi penali pendenti, autorizzazione estesa appunto a Voi e “a tutti gli organismi preposti a far applicare la legge statale e locale”. La stessa liberatoria è stata chiesta a tutti i giornalisti accreditati al mondiale e trovo simpatico, da parte di organizzatori e Fbi, chiedere l’autorizzazione a indagare, quando si potrebbero fare indagini senza chiedere il permesso, come suppongo avvenisse ai tempi del visto d’ ingresso obbligatorio. Mi auguro che le stesse misure di prevenzione siano state prese nei confronti di tifosi tedeschi o spagnoli e non si tenda a vedere solo in chi esercita la professione giornalistica un veicolo di pericolosità sociale, o, peggio, di sovversione.

In uno spirito di simpatica e fattiva collaborazione, non ho difficoltà a rendere pubbliche alcune informazioni sul mio conto, sperando di abbreviare il Vostro lavoro d’indagine. 

1) Ho soggiornato circa 20 giorni in California nell’estate ’84 senza dare adito ad alcun rilievo penale.

2) Guardando i film western, ho quasi sempre tifato per gli indiani

3) Non faccio uso di droghe pesanti o leggere, nemmeno occasionalmente.

4) Ammetto di poter essere considerato un paria, specie negli Usa, perché fumo sigarette. Mi impegno a rispettare le leggi vigenti negli Usa e a non buttare cicche per terra.

5) A cinque finali del Superbowl preferisco un corner calciato da Maiellaro o una fuga di Roscioli

6) Non sapendo quanto indietro nel tempo possano andare le Vostre indagini, comunico che mio padre era carabiniere (una sorta di collega) e ha fatto la Resistenza. Mio nonno pastore.

7) Mai avuto tessere di partito. Ho solo quella del movimento Slow Food e questo Vi farà capire quanto ami il Fast Food.

8) Ammetto di aver operato per quanto potevo, nell’ambito professionale, contro l’assegnazione del mondiale agli Usa e resto persuaso, da molti segnali, d’aver avuto ragione.

9) Mai amata la Coca Cola nè i long drinks.

10) Ho firmato per chiedere il trasferimento in Italia di Silvia Baraldini.

11) Non conosco una sola canzone di Bruce Springsteen e sono allergico a Madonna.

12) Fra zona e uomo rifiuto di schierarmi.

13) La mia formazione: Whitman, Steinbeck, Bukowski, Queen, Pronzini, Kerouac, Hemingway, Salinger, Faulkner, McBain, Corso.

14) Un disco di Aunt Molly Jackson (canzoni dei minatori degli Appalachi) lo uso quand’è ora di far sloggiare gli amici da casa. Funziona sempre. Però io ci sono molto affezionato. Quanto ai dischi, non so se possano definirsi arma impropria quelli di De Gregori, Giovanna Marini (Oggi vi parlo dell’America), Franco Madau, però li ho, e anche la colonna sonora di Sacco e Vanzetti.

15) Sospetto di essere di sinistra, ma attendo conferme. Distinti saluti [Repubblica, 13 aprile 1994]

 

Il divieto in Comune a Carrara

Se esiste un uso buono del coltello, non esiste un uso buono del petardo: può solo far paura o far male. Fa male anche il fumo. Per questo, negli stadi arabi, sarà vietato fumare anche all’aria aperta. Per questo Sean Connery (7) il primo James Bond fumava 50 sigarette al giorno e l’ultimo, Pierce Brosnan, no, anzi sul cruscotto della sua Bmw ha messo un cartoncino che invita ad astenersi (ma nessuno ci dice se 007 applica lo stesso rigore quando seduce, insomma lo mette o no il preservativo?). E per questo il City manager (Pierino, che lavoro fa tuo padre? il City manager: ma ci pensate o no ai vostri figli, ndr) di Carrara ha arruolato impiegati comunali per scoprire chi fuma in municipio. È il progresso, baby, gira e gira siamo tornati al capoclasse che segna i bravi e i cattivi sulla lavagna. Mi pare che ci stiamo avviando sempre più verso una società di controllati e controllori, che qualcuno dovrà pur controllare, e quel qualcuno dovrà esser controllato a sua volta. Coi computer, basta una multa e sei schedato tutta la vita.  [Repubblica 28 febbraio 99]

 

Il divieto in Francia

In certe vecchie birrerie francesi, non solo il fumo era obbligatorio, ma si mescolava, e i clienti assidui sapevano percepire le differenze. Quando arrivava in tavola la choucroute, su un piatto caldissimo, il fumo che saliva dalla carne di maiale bollita e dai crauti si mescolava dolcemente con quello più acre e amaro delle Gauloises o delle Celtiques. Tutto questo appartiene al passato. Dal primo gennaio non si potrà più fumare nei locali pubblici francesi. Così, il commissario Maigret uscirà borbottando sul marciapiede a tirarsi due boccate di pipa, Belmondo approfitterà del breve tragitto tra l’uscita dal taxi e l’ingresso del bistrot. Non saranno risparmiati neanche i cabaret: con la chitarra in spalla, Georges Brassens cercherà asilo da qualche parte, oppure si chiuderà a fumare nella toilette. La cultura francese, oltre al colore locale, è sempre stata legata al fumo. Il nuovo corso, inutile sottolinearlo, gioverà alla salute. Ma i francesi non sono come gli italiani, così rispettosi delle regole, così sensibili ai divieti. Qualcosa inventeranno di sicuro. L’allarme dei passatisti è già lanciato: non sarà più la Parigi di una volta. Lo dicevano anche quando fu proibito l’assenzio. Che adesso è di nuovo legale. Su con la vita. [Repubblica, 20 dicembre 2007]

 

Quei nemici dei NAS

Hanno ragione loro, non si discute. Questo non toglie che noi fumatori ci si senta un po’ braccati. Ieri ho letto con molta tenerezza del blitz dei Nas a Fiumicino. Aeroporto passato al setaccio: sale d’attesa, imbarchi, toilettes, e hanno trovato solo due disgraziati con la cicca accesa. Uno in sala imbarchi, l’altro nei cessi, scusate la franchezza. Come quando si andava a scuola, ma lì almeno il bidello chiudeva un occhio. Ho letto con tenerezza e, aggiungo, orgoglio: due soli disgraziati (multati di 50 euro) sono una goccia nel mare, sono la dimostrazione che in questo paese non si fuma dove c’è scritto “vietato fumare”. C’era scritto anche prima, ma siccome i primi a fumare erano i poliziotti si stabiliva un clima d’immunità, se non d’intesa. Hanno ragione loro, anche se personalmente ritengo assai poco attendibili le ricerche sul fumo passivo. In un ambiente chiuso il fumo piacevole non è comunque. Cerchiamo di avere un certo stile, mentre il cerchio si stringe. Per chi abbia passato un po’ di tempo negli Usa non è difficile abituarsi. Tra le Olimpiadi dell’84 e i mondiali di calcio del ’94 avevo notato un salto di qualità. In California ti guardavano un po’ storto ma stavano zitti. Nei ristoranti i tavoli per fumatori si trovavano senza problemi. A New York bisognava prenotarli con settimane d’anticipo. Un giorno, anzi un mattino, ero seduto su una panchina in Central Park fumando la prima sigaretta dopo il primo caffè (la migliore in assoluto, sempre, anche quando il caffè fa schifo) e leggendo i giornali. Si avvicina una signora anziana dall’aria dolce, una versione umana di Nonna Papera. Penso voglia chiedere un’informazione, invece dice secca: Fuma, fuma che ti viene il cancro ai polmoni. Ce l’ho già, grazie, ho risposto. È andata via tutta contenta. La mia buona azione quotidiana, una bugia. In America se il condannato a morte esprime il desiderio dell’ ultima sigaretta prima di salire sulla sedia elettrica non gliela danno, la sigaretta, per motivi di salute. Questo si chiama essere coerenti. Non sembra, ma alla coerenza ci tengo. Quando Milano era ancora una città vivibile e respirabile, diciamo nel ’59, compravo 5 Alfa (o 5 Nazionali senza filtro se ero in grana) e mi duravano un giorno. Adesso al giorno fumo 2 pacchetti di Ms dando guadagno ai Monopoli (le spengo a metà calcolando di fumarne 20) e poco ai dottori, spero. E spero nel mio Dna, di cui so pochissimo. Qualche anno fa, a Ischia, ho conosciuto un cardiochirurgo di Napoli sempre con un toscano acceso, e per giunta mangia e beve il doppio di me. È tutto nel Dna, mi ha spiegato. C’è chi fuma come un turco e campa fino a cent’anni e chi muore di cancro ai polmoni in giovane età senza aver mai fumato. Io, che già mi tenevo su pensando a Picasso, fumatore tra i più incalliti, ci ho creduto. E poi quasi tutti ricordiamo un nonno che viaggiava a tabacco ed è passato per una guerra o due ed è arrivato a novant’anni. Ma non facciamone un discorso di salute, se è ancora vero che il corpo è mio e me lo gestisco io. Hanno ragione loro perché quello che per noi è un piacere (e il fumo lo è, a svariati gradi) non può e non deve essere un’angoscia o una sofferenza per gli altri. Nemmeno un’imposizione. Tant’è che, quando si poteva fumare dappertutto, qualche buon italiano chiedeva «disturbo se fumo?» se c’erano signore intorno, e le signore dicevano «ma prego, fumi pure» anche se il fumo le disturbava. Ma erano altri tempi, appunto. In questi, basta organizzarsi. Ho parlato di piacere del fumo, ma c’è anche la sigaretta antistress (quella che si accendeva appena l’aereo cominciava a ballare), quella da ispirazione (appena infilato il foglio bianco nella Olivetti).

Se mi vien voglia di fumare, esco in giardino o sul marciapiede. Mi sembra il minimo. Stessa cosa (ma sul balcone) in qualche casa di amici. E anche sulle loro auto, niente fumo. Il fumo freddo ha un odore che intride, tanto vale ammetterlo. E ammettere che ci sono fumatori insopportabili. Io odio quelli da spiaggia, che seppelliscono la cicca nella sabbia facendo finta di niente, e quelli che buttano la cicca accesa dai finestrini. Per il resto, l’emarginazione crea una certa solidarietà. Quando a Malibu ho sentito il classico americano con la camiciola a fiori, al quarto Martini, dire che ormai fumano solo i negri e gli ispani mi sono acceso tre Marlboro di fila. Autolesionista forse, sottomesso mai. Al cinema, a teatro, non facciamo il casolimite degli ospedali, si può stare benissimo senza fumare. Al bar ho qualche dubbio (per via del caffè e dell’eventuale partita a carte). Non credo, da fumatore, che stiamo assistendo a una crociata (parola che non mi è mai piaciuta). E nemmeno vivendola, anche se qualche fanatico in giro c’è, ma è sempre così quando si tratta di vietare qualcosa, di togliere qualcosa. La cosa migliore è resistere da fumatori non violenti, fumare solo dove si può e apprezzare, finché si può, questa piccolissima, stupida libertà. [Repubblica, 18 gennaio 2002]

 

La resistenza

▔▔▔▔▔▔▔▔

La scritta Mundial sulle MS

TRE mesi e rotti al mondiale. Ho comprato un pacchetto di Ms, purtroppo fumo, e non resisto alla tentazione di dare 2 ai Monopoli di Stato. Perché le Ms si chiamano Mundial e non mi risulta che in Italia la lingua ufficiale sia lo spagnolo. È ben vero che si chiamava Mundial nel ’78 in Argentina (6,5), nell’82 in Spagna (8,5) e nell’86 in Messico (8) ma non è un buon motivo per continuare nel ’90. Poi, sulle Ms Mundial è indicato il contenuto medio di nicotina (mg.0,6), condensato (mg.7). Volete avere la compiacenza di scoprire le carte anche sui pacchetti cosiddetti normali? Riusciremo a essere normali da giugno in poi? [Repubblica, 25 febbraio 1990]

 

A un raduno di fumatori di sigari

In uno dei più esclusivi alberghi di Milano, la prima sensazione è che se m’accendo una sigaretta al tavolo, durante la cena, nessuno mi guarda male. Anche perché gli altri, un centinaio di commensali, belle signore incluse, stanno fumando sigaroni cubani lunghi così.

Primo flash nella memoria: Churchill. Secondo flash: il Che. Terzo: mio nonno. Ma erano mezzi Toscani, il signore che ho di fianco sta dicendo che il Toscano è un sigaro statico. Con la sua dignità, ma com’è rimane, non lo puoi cogliere nel divenire. Un altro gli risponde che lui ha amici a Cuba, e vanno matti per il Toscano. La seconda sensazione è che sono in un film, adesso arrivano Edward G. Robinson e George Raft. Oppure arriva la polizia e ci porta via tutti. A New York sarebbe già arrivata, forse. Ma no, se c’è Mike va tutto bene, allegria. Mike Bongiorno si sta sparando anche lui un cannone con evidente piacere, anche se un po’ in anticipo sulle sue abitudini. L’ha spiegato al microfono, da presidente onorario della Cigair. “Fumo sigari da 40 anni ed è uno dei momenti migliori della giornata, anzi della notte. Per lavoro, non torno mai a casa prima delle tre. Metto su un disco di musica classica, accendo uno dei miei sigari, mi rifornisco da Dubini a Chiasso ogni sei mesi, me lo godo e mi rilasso”. 

Verso l’una girano i carrelli dei liquori e m’accendo il sigaro più piccolo. Coi gamberi o il filetto, non ne parliamo. Ormai si discute sulla filosofia del sigaro, virtù e non vizio, antistress, pausa di meditazione, ricerca del gusto più personalizzato, piccolo lusso. Ho letto che negli Usa (dove Clinton fuma sigari cubani, sostenendo che è vietata l’importazione ma non il consumo) il sigaro torna a essere accettato, da buon status symbol, nei ristoranti di nome. Tant’è vero che Sirio Maccioni a Le Cirque ha predisposto una sala per fumatori di sigari. [Repubblica, 10 maggio 1997]

 

Certi pacchetti al Tour

Sto collezionando pacchetti di Gauloises vuoti per valutare l’impatto della campagna antifumo. Ormai la scritta, giustamente bordata di nero, è grande un terzo del pacchetto. «Fumare uccide». Questo va bene: secco, efficace, ancora più secco in francese. «Fumer tue». Dall’altra parte trovo scritto: «Fumare provoca l’invecchiamento della pelle». E chissenefrega, è comunque riduttivo rispetto al primo messaggio. Altro pacchetto: «Fumare può portare a una morte lenta e dolorosa». Questo piace meno, ha un che di sadico. Altro lato: «Il fumo contiene benzene, nitrosamine, formaldeide e cianuro di idrogeno». Non ci siamo, troppo tecnico. Altro lato: «Fumare può nuocere agli spermatozoi». Ancora non ci siamo, troppo possibilista, se può nuocere può anche non nuocere (e comunque gli spermatozoi di Picasso stavano benone). [Repubblica, 25 luglio 2003]

 

Le carrozze per fumatori

Mi balocco con la possibilità di denunciare il servizio pubblico, una volta accertato che le carrozze per fumatori sono esattamente uguali alle altre, cioè non provviste di ricambio d’aria adeguato o aspiratori all’ altezza. C’è qualche avvocato che se la sente? Prego contattarmi (perditempo astenersi). Poi: mi piacerebbe sapere quante nazioni europee hanno eliminato le carrozze fumatori. Poche, credo. Sta a vedere che con Sirchia (5) siamo all’avanguardia di qualcosa, chi può escluderlo? Ancora: procurarsi la quinta pagina del Foglio di ieri, che puntualizza la molta sabbia su cui sono costruiti i castelli d’accusa, a partire dal fumo passivo. Una ricerca Usa del 1989, mai smentita, ha calcolato che per inalare l’equivalente di una sigaretta su un aereo un non fumatore dovrebbe volare per circa cinque anni di fila. [Repubblica. 8 febbraio 2004]

 

Le sigarette dello sport

▔▔▔▔▔▔▔▔▔▔▔▔▔▔

Il fumo di Zeman

Nell’annosa guerra fra zonisti e uomisti non mi arruolo, anzi copio Zeman dicendo che è un allenatore come tanti, né un santone maestro di calcio e, già che ci siamo, di vita, né un tecnico da quattro soldi. Ha lati buoni e lati meno buoni, non lo si può scoprire oggi, è immutabile. Io credo che il limite maggiore del boemo che fuma sempre, come Yanez, l’ennesima sigaretta, sia quello di non aver mai detto almeno una volta: ho sbagliato. Uno che pensa che sbaglino solo i giocatori difficilmente può avere buoni e duraturi rapporti con una rosa vasta come usano le squadre metropolitane. [Repubblica., 17 marzo 98]

 

Quando Cassano disse che non poteva fumare

Chi: Antonio Cassano. Dove: in redazione. Quando: giovedì sera. Come: con una certa fatica. Ma ero curioso: da mendicante di bel calcio come mi considero (la definizione è presa da Galeano) quando ho visto in tv il gol di Cassano all’Inter ho sentito una scossa. Mi sono letto in archivio tutto quel che è stato scritto su di lui per evitare di riscriverlo (via San Bartolomeo eccetera). Un’intervista solo calcistica, ecco il programma. Avevo solo un dubbio: dargli del tu o del lei. L’ha risolto lui. 

Dà fastidio il fumo? ho chiesto dopo le presentazioni. 

Assolutamente no, ha detto Saverio De Bellis, che l’aveva accompagnato. 

A me sì, è meglio che non fumi, va, ha detto Cassano. Me l’avevan detto che il tipetto è tosto, si parte. [25 novembre 2000]

 

Invece Vieri non fece problemi

Disturbo se fumo?

«No, anche se io non fumo, non ho mai fumato». 

Neanche uno spinello? 

«Neanche». 

Non mi dica che è anche astemio. 

«Quasi». 

Cioè? 

«Mi piace il Brachetto. Lo conosce?» 

Sì. 

«Le piace?».

Diciamo che non è nel top 50 del mio gusto, ma fresco, con le fragole, può andare.

«E sulle crostate di frutta, giusto?».

Giusto [Repubblica, 8 febbraio 2003]

 

Le sigarette di Rombo di Tuono

Quando Riva indossò per la prima volta la maglia numero 9 e si ruppe per la prima volta una gamba (la sinistra) a Roma, il 27 marzo del ’67, lo andai a trovare. Stanza 126 del Policlinico Italia. «Vuoi un’intervista? Va bene. Ti costerà un paio di sigarette, perché qui oltre al gesso non mi lasciano fumare». Ricordo meno il titolo che uscì sulla Gazzetta. Il concetto era: «Quando torno spero di trovare un terzino che meni». 

Accendendosi l’ennesima sigaretta, come Yanez (il lunedì un pacchetto abbondante, ma poi a scalare, fino a quella della domenica negli spogliatoi, prima del via), mi guardò come se non ci fossi: «Mi sarebbe piaciuto far vivere a mia madre una vita decente. È morta quando sono partito per Cagliari. Cosa vuoi che ti dica? Che dedico il gol alla Sardegna, o all’Italia se gioco in Nazionale? Ma non facciamo ridere. Io non ho nessuno a cui dedicare nulla. Segno per dovere». [Repubblica, 5 novembre 2004]

 

Le sigarette di Platini

Mi è venuto in mente di quando Boniperti rimproverò Platini perché si era acceso una sigaretta. Risposta di Platini: «Non si preoccupi, presidente, qui basta che non fumi Bonini». Ecco, nell’Inter basta che non fumi Cambiasso. Che è molto più di un interditore, ha lancio, ha tiro, ha intelligenza tattica, spirito di sacrificio, senso del collettivo. Un grande. [Repubblica, 23 settembre 2005]

 

La sigarette di Maigret

Per trovare i posti che piacevano a Maigret bisogna andare a naso, come lui. Si sentiva intimorito quando il dottor Paul (uno famoso, aveva fatto l’ autopsia a Jules Bonnot) lo invitava nel lusso ovattato di Lapérouse, 51 quai des Grands Augustins. Gli piacevano i bistrot con le lavagnette al muro, il cibo che s’indovinava dai profumi (burro è nord, aglio è sud), e i profumi nei bistrot includono fumo e sudore. [Repubblica, 15 ottobre 2006]

 

Le sigarette di Scopigno raccontate da Cera

«Prima che me lo chieda, è verissimo l’episodio di Scopigno ad Asiago. Passata mezzanotte entra in una camera dov’eravamo in otto a giocare a carte sui letti e a fumare, più qualche bottiglia che non avrebbe dovuto esserci. C’ero anch’io, la camera era piena di un fumo che sembrava nebbia. Silvestri ci avrebbe ammazzato, pensai, mentre Scopigno proporrà una forte multa. Macché. Disturbo se fumo? disse. E poi, con occhiata circolare: però è l’ultima. In mezzora eravamo tutti a nanna e la domenica dopo vincemmo 3-0».

Ma fumavate tutti, al Cagliari?

«Tutti tutti no. Nené e Greatti non fumavano. Greatti era l’unico che viaggiava a riso in bianco e filetto. Si curava come un certosino. Un giorno Scopigno lo cacciò dall’allenamento perché tirando il gruppo correva troppo veloce». [Repubblica, 10 marzo 2014]

 

Le sigarette di Merckx

Goddet coniò “merckxismo” e la figlia di Christian Raymond, un corridore della Peugeot, “cannibale” (perché agli altri non lasciava neanche le briciole). Il soprannome gli è rimasto, e non gli piace, come non gli piaceva “l’orco di Tervuren”. Gli piaceva fumare una sigaretta con filtro quand’era rilassato (ero tra i fornitori), bere una pinta di birra con i compagni, dai quali esigeva il massimo. Nel periodo delle kermesses gli capitava di andare a letto molto tardi, poi si alzava che era una rosa e gli avversari stracci. [Repubblica, 17 giugno 2015]

 

  EFFETTO DOLLY  

Tre cose da rileggere nei paraggi di Gianni Mura

    La prima domenica senza Gianni Mura

Lo sai, Gianni, qual è l’ultima parola che hai scritto? Mente. Poi hai messo il punto. Era domenica scorsa, la tua rubrica, non te ne eri stancato.

Mente. L’unica parola italiana che esiste con queste cinque lettere. Non ha anagrammi. La tua ultima parola è una parola che non si scompone, non si permuta, non ha affinità. È unica. Anche se un pignolo direbbe che può essere sostantivo o verbo. La prossima volta parliamo dei pignoli, ora non è il momento. [Slalom 22 marzo 2020]

    La musica di Gianni Mura

Ventiquattro giorni prima che a Sanremo vincesse Laurent Jalabert battendo allo sprint Maurizio Fondriest, Gianni Mura a Sanremo c’era andato per il festival, per la prima volta, sanando in fondo un vuoto anomalo per un appassionato come lui. Nell’archivio di Repubblica la parola canzone appare nei suoi pezzi 269 volte e canzoni 169. Facciamo che siano la stessa cosa e in totale fa 438. Musica 428 volte. Musica + canzoni fa 866. Per dire: fuorigioco arriva a 498, polemica + polemiche a 407. [Slalom 21 marzo 2021]

    Sai, Gianni, stasera c’è la finale e la guardiamo senza Mario

Dicono che il mare d’inverno è un concetto che il pensiero non considera, forse è così, dipende, questi sono giorni di mare d’inverno a Senigallia come a Doha. Certi tipi hanno portato dall’Italia fino al Qatar ottocento ombrelloni, tremila lettini, cinquecento sdraio e quattro torrette di salvataggio, oltre a una ventina tra bagnini e operatori balneari, per promuovere l’Adriatico sul Golfo Persico. Pare l’inizio di un esercizio a un pessimo corso di scrittura creativa, l’allievo prosegua il racconto usando i seguenti elementi: barca, palo della luce, tristezza. L’atrocità è che l’hanno chiamata temporary beach. Tranne che a Battiato, non dovrebbe essere permesso a nessuno. [Slalom 18 dicembre 2022]

 

È uscito da qualche giorno un nuovo libro dello scrittore Marco Ciriello, firma de Il Mattino e La Gazzetta dello sport, amico di Slalom. È una raccolta di suoi pezzi, più alcuni inediti, dal titolo Maradona, Messi, Mura e altre storie di pallone, edito da Milieu [si trova qui]. 

Venerdì scorso, Avvenire lo ha definito fertile memoria di cuoio e ha pubblicato un brano tratto da un articolo per Alfredo Pigna. 

Qui proponiamo invece un passaggio delle pagine dedicate a Gianni Mura

 

  pagine | Non ha mai avuto la compostezza del ruolo, anzi, aveva la giustezza della risposta e la prontezza d’animo: perché veniva dalle brevi, dai tagli bassi, dalle scarpinate, dalle partite assurde e dai collegamenti ancora più assurdi per raggiungere quelle partite, dove ogni viaggio era già racconto e viaggiando imparava a salvare ricordi e parole, attimi e silenzi. Un fuoriclasse con gli aggettivi, scultore della frase esatta che basta come ritratto, e con una attenzione maniacale alla marginalità. Aveva orecchio, per dire: conosceva anche il Murolo più dimenticato, il Di Giacomo perduto, e poteva parlare di Alfonso Gatto per ore e meglio di qualunque critico. Perché Gianni era attento al ritmo e al suono, una canzone era fondamentale per scrivere e scriverne, un verso, una nota aggiungevano aria a una partita o a una corsa. Per forza di cose doveva poi ricondursi allo sport, era la sua stanza, ma ci arrivava, sempre, con un carico di altre cose, altri mondi, perché quella stanza non aveva pareti.

 

Per gentile concessione dell’autore

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.