Dai Lo Bello ai Di Bello, la terra desolata del calcio italiano

La terra desolata di T.S. Eliot può permettersi solo una Sibilla decrepita. Ha ottenuto da Apollo il dono dell’immortalità, non quello dell’eterna giovinezza. È una Sibilla bonsai. Il suo antro è ridotto a un’ampolla. Non c’è più nulla della terribile maestosità esibita nell’Eneide di Virgilio. È il segno più ironico e paradossale delle degradazioni immaginate da Eliot, il suo mondo prima mitico e poi allegorico, fatto di rimpicciolimento e parodia.

Così nella terra desolata del calcio italiano siamo passati da Lo Bello a Di Bello, siamo passati dalle controversie di un personaggio leggendario diventato icona, perfino una maschera del cinema, all’inadeguatezza di uno dei post-arbitri del post-calcio, come scaraventati all’improvviso dentro un film di Totò, dentro quel suo esercizio di corruzione dei cognomi e dunque della realtà, Lo Turco, no Lo Turzo, anzi Lo Svizzero.

 

Secondo Graziano Cesari che cura la moviola dei casi caldi per le trasmissioni Mediaset, la partita di Di Bello si è complicata quando non si è accorto del colpo preso da Castellanos, una manata di Bennacer, e con il giocatore a terra ha lasciato continuare il gioco. Quando cioè Pellegrini ha chiesto a Pulisic di fermarsi e lo statunitense con il laziale a terra ha proseguito – altra eliotiana degradazione di un Milan lontano di trent’anni, il Milan di Sacchi che a Bergamo andò a prendersi un rigore battendo con Massaro una rimessa laterale nata da un bel gesto di Stromberg, senza restituire la palla. Baresi scartò l’idea del fair play, non ci pensò a sbagliare di proposito, il mondo mitico e allegorico gliene fece sbagliare allora uno a Pasadena, in finale di coppa del mondo. 

Comunque. L’azione all’Olimpico è proseguita con Pellegrini che ha fermato fallosamente il milanista e si è preso il secondo giallo, dunque il rosso. Cesari su Mediaset ha sintetizzato così: A conti fatti 36 falli fischiati, 11 gialli e 3 rossi: Di Bello nettamente insufficiente

Luca Marelli su DAZN ha escluso che si potesse fischiare un rigore dal contrasto Maignan-Castellanos e sul rosso a Pellegrini considera che Di Bello stava dando le spalle ai giocatori e che in questa circostanza sarebbe dovuto intervenire il quarto uomo Sacchi [ancora]. Peccato. 

Sarebbe stato rassicurante credere che avesse sbagliato solo una persona. Lo saluti, lo ringrazi, lo rimpiazzi, si va avanti. Invece esiste un problema più profondo con la classe arbitrale italiana, più serio della fabula che ci raccontiamo sui migliori del mondo.

Vista da Roma la serata di Di Bello merita sul Messaggero il voto di 3. Alberto Abbate ha scritto: Non vede nulla, non va nemmeno al Var per la Lazio, che sia un fallo, un rigore o un colpo al volto di Castellanos: la lascia in otto con tre rossi e la rispedisce all’inferno dell’ottavo posto, lontana dall’Europa e dalla Champions, con l’undicesimo ko dopo un primo tempo strepitoso. Vende l’anima al Diavolo.

Lo stesso 3 appare nelle pagelle del Corriere dello sport-stadio perché Di Bello perde il controllo della gara, estrae tre rossi e fa innervosire le squadre con alcune scelte incomprensibili su situazioni lineari (vedi i falli invertiti e un atteggiamento inutilmente autoritario). Gestisce male, poi, tutti gli episodi decisivi”.  Nel suo editoriale, il direttore Ivan Zazzaroni ha scritto: Di Bello, pochissimo. Anzi, troppo. Il dieci contro undici vissuto come pura ingiustizia ha trasformato la partita da pulita in sporchissima. La verità è che quando un arbitro perde il controllo della partita gli effetti possono risultare intollerabili

Vista da Milano, l’insufficienza di Di Bello sale da 3 a 4,5. È il giudizio della Gazzetta: Nebbia totale nel finale – si legge – non capire momenti della gara, dinamiche e sviluppi non va bene, mentre Sebastiano Vernazza nella sua cronaca ha parlato di Far West e Lazio in frustrazione. Per il Corriere della sera Di Bello è stato a un voto dalla sufficienza [5]: non si è ancora espresso Paolo Casarin nella sua consueta rubrica. 

Carlos Passerini sottolinea la coda del Diavolo, il gol cioè di Okafor a due minuti dalla fine [mentre l’Olimpico è un saloon]: il Milan è la squadra europea che ha segnato di più con i subentrati. Sebastiano Vernazza sulla Gazzetta li definisce tre punti non belli, anzi brutti, sporchi e cattivi

 

Le parole di Cardinale

 

CHE COSA HA DETTO AL FINANCIAL TIMES

«Cambiamento non è una brutta parola. Penso che ne valuteremo. Se possiamo migliorare, mi circonderò di persone migliori. Mi sono affidato a Zlatan per raccogliere opinioni, prospettive e consigli sulla possibilità di un cambiamento. Tutto ciò che riguarda il Milan deve cambiare. Forse evolvere è una parola migliore. Zlatan mi permette di essere di base negli Stati Uniti e di essere comunque presente, in termini di presenza e di delega a Milano. È un partner operativo di RedBird. È il mio delegato a Milano giorno per giorno. Ci sentiamo più volte al giorno. Ha l’autorità per essere la mia voce con i giocatori, lo staff, con tutti a Casa Milan. Ha una grande credibilità. Se avessi preso un ragazzo di New York e lo avessi portato a Milano, ne avrebbe avuta di meno. Non perché sia uno dei più grandi giocatori di sempre, ma per il modo in cui si comporta, il modo con cui riesce a parlare ai giocatori con la voce della proprietà. Non voglio entrare nello spogliatoio e fare così. Voglio che sia Zlatan a farlo».

 

 

Marco Iaria ci ritorna stamattina sulla Gazzetta scrivendo che un’investitura del genere è talmente dirompente da aver richiesto un passaggio supplementare. Secondo Iaria, c’è stato il via libera del fondo di Paul Singer, perché finora Gerry Cardinale si era sempre mosso nel segno della continuità

Un via libera che sarebbe figlio delle condizioni economiche concordate all’atto dell’acquisto del club e nel momento del prestito da 550 milioni arrivato dal fondo. La metà del valore totale dell’operazione. Un prestito, spiega Iaria, a un tasso d’interesse del 7%, fanno 40 milioni di oneri all’anno, fino al rimborso stabilito nel 2025, a tre anni dall’emissione, per un totale di circa 665 milioni. Un’operazione così concepita – scrive Iaria – avrà richiesto un’appendice di clausole a favore del soggetto che si privava di un bene così prezioso e, allo stesso tempo, si esponeva finanziariamente nella riuscita del progetto. E in effetti Elliott ha preteso e ottenuto il pegno sul 99,93% delle azioni del Milan cedute ad Acm Bidco. È un rapporto stretto, un abbraccio di interessi.

E Ibra si trova là nel mezzo, come il mediano di Ligabue.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.