Il ciclismo totale della Jumbo-Visma. Una Gand-Wevelgem in regalo per Laporte

Il ciclismo totale della Jumbo-Visma

 

È così che lo chiama stamattina Richard Plugge, il boss della squadra olandese, i Calabroni della bicicletta per la loro maglia gialla e nere. Un dominio, scrive Gaetan Scherrer su l’Équipe, che tende a mettere l’antico dominio blu dei Quick-Step nei cassetti della memoria.

È Plugge a fare un riferimento al calciatore Johan Cruyff e al suo Ajax anni 70, per dire che si sta ispirando alla vecchia Sky-Ineos durante l’estate e alla Quick-Step di primavera. Ispirarsi significa vincere come facevano loro: schiacciando tutti. Sopra la sua scrivania c’è la foto dell’arrivo della prima tappa della Parigi-Nizza dello scorso anno a Mantes-la-Ville, quando tre dei suoi arrivarono da soli, Laporte, Roglic e Van Aert, ​​in quest’ordine, nella fotografia che riassume al meglio la sua filosofia, la costruzione di uno squadrone che gli ha consentito di prendersi nello stesso giorno il Giro di Catalogna con Primoz Roglic e la Gand-Wevelgem con Laporte. 

 

La Gand-Wevelgem regalata

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Le stelle si sono allineate per Laporte, nel giro di nove mesi, ha vinto una tappa al Tour de France, l’argento ai Mondiali e ora una classica delle Fiandre. Bisognava vedere il volto tirato dei corridori battuti all’arrivo, sentirli battere i denti, gli angoli degli occhi infangati, gli impermeabili gonfi per gli acquazzoni, per capire come lo scenario dell’evento non può alterare la grandezza del vincitore, scrive L’Équipe.

Le stelle si sono allineate perché è arrivato al traguardo insieme con il suo compagno Wout van Aert,e  van Aert lo ha lasciato vincere. 

L’anno scorso i due avevano fatto gli ultimi 40 km del GP d’Harelbeke insieme, Laporte aveva fatto un passo indietro secondo le gerarchie certificate. Ieri nel finale sono state chiacchiere e risate, pacche sulle spalle, una scena più concepibile in corsa minore che in una classica come la Gand-Wevelgem

L’azione decisiva, la vertiginosa ripetizione di quanto accaduto sul Paterberg lo scorso anno è arrivata quando Van Aert ha fatto saltare in aria il wattometro durante il secondo passaggio del gruppo sul Kemmelberg, la difficoltà principale. Solo Laporte è riuscito a stargli dietro, distacco immediato, inseguimento titubante, sipario. Restava solo da capire chi avrebbe vinto, e come. Van Aert era arrivato primo venerdì in Harelbeke battendo van der Poel e Pogacar. Non è un tipo che sia mai sazio, ma sa che la sua stagione verrà giudicata da un eventuale successo al Fiandre di domenica o nelle Roubaix di Pasqua, non a Wevelgem. Sa stare al mondo e lo ha lasciato vincere. 

Pier Bergonzi sulla Gazzetta: Il gesto, comunque lo si osservi, è di grande eleganza e di particolare sensibilità. La parrocchia dei puristi storce il naso perché una regola non scritta del ciclismo dice che il più forte deve vincere. Punto. Nell’epoca degli sceriffi, l’altruismo di Van Aert non aveva cittadinanza. Eddy Merckx era il «Cannibale» proprio perché avrebbe voluto (e spessi ci riusciva) vincere tutto, anche i traguardi volanti. Ma ero lo stesso per Gimondi e Moser, per De Vlaeminck e Maertens…

 

La sua clemenza – dice l’Équipe – ha sorpreso più di un osservatore, in genere non si consegna la Gand-Wevelgem a un compagno di squadra come se gli si offrisse un orologio, soprattutto quando tu sei belga e lui è un francese. Comunque sia, un  francese non vinceva dai tempi di Philippe Gaumont nel 1997. 

 

| retro LA TRADIZIONE DEL REGALO  Non è un inedito, anzi. Il ciclismo conosce bene scene così. L’Équipe ne ha ripescate alcune dalla storia, a partire da Hinault-LeMond all’Alpe d’Huez del Tour de France 1986. Qui bisogna domandarsi chi fece il regalo a chi, scrive il giornale. Il francese, cinque volte maglia gialla, aveva già deciso che sarebbe stata la sua ultima stagione e che il suo compagno di squadra americano sarebbe stato il suo successore nell’albo d’oro. Ma durante il Tour, Hinault prese la maglia gialla sui Pirenei e la cedette a LeMond nella terza settimana. La tappa dell’Alpe d’Huez avrebbe scolpito la classifica finale. La foto finale mostra i due compagni di squadra che arrivano toccandosi la spalla sulla linea, Hinault primo, ma LeMond ha sempre dato un’altra versione: «La  vera storia è che lui ha provato a vincere il Tour. Glaciale. Contro Hinault ho vinto io». 

L’arrivo più telecomandato della storia fu quello a Roubaix nel 1986. Tre corridori della Mapei si presentano insieme al velodromo: Johan Museeuw, Gianluca Bortolami e Andrea Tafi. Non fanno nemmeno lo sprint, perché i due italiani accettano di lassciare la vittoria al capitano che probabilmente li avrebbe battuti lo stesso allo sprint. Ma l’ordine di arrivo era stato fissato sulla macchina del team manager Patrick Lefévère.

Anni dopo racconterà: «La decisione è stata difficile da prendere, non è stato Giorgio Squinzi, capo della Mapei, a scegliere. Mi aveva chiamato durante la corsa per ricordarmi che lo slogan della Mapei era Vincere insieme. Mi aveva detto: – Fai in modo che i tre arrivino insieme al velodromo. Dopo ho scelto Johan, sì, perché avrebbe vinto lui. Tafi piangeva all’italiana, mia moglie è incinta mi disse per convincermi». Avrebbe vinto la gara nel 1999.

Poi ci sono Kwiatkowski e Carapaz che arrivano abbracciati, con la ruota del polacco leggermente davanti a quella del sudamericano, nella tappa tra Méribel e La Roche-sur-Foron al Tour de France. Anche la famosa foto sulla scrivania del manager Jumbo è un arrivo concordato: Roglic e van Aert lasciarono vincere Laporte come regalo di benvenuto, era la sua seconda corsa in maglia Jumbo. 

 

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