A che punto siamo con il caso Acerbi

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Come era prevedibile, il giudice sportivo della serie A non ha preso provvedimenti ma ha chiesto alla Procura della Figc un approfondimento di indagine su quanto accaduto domenica in Inter-Napoli tra Francesco Acerbi e Juan Jesus. Probabilmente i due calciatori saranno ascoltati.

Stamattina diversi quotidiani si sono espressi sulla vicenda.

Abbiamo selezionato cinque interventi. 

 

| Giulia Zonca su La Stampa ha messo in fila una serie di episodi che si sono  sommati nelle ultime settimane e con passaggi di triste realismo giudica come il calcio italiano non sia pronto per un impegno così alto.  Zonca ricorda che la Germania “davanti ai commenti contro la seconda maglia, rosa, scelta per gli Europei di casa («Non è da campioni»), si inventa in due giorni un video sponsorizzato di grande impatto ed efficace ironia. E c’è il ct dell’Austria che lascia a casa i giocatori protagonisti dei video con urla omofobe” mentre il calcio italiano discute il caso-Acerbi senza aver ancora chiuso il caso-Portanova, condannato in primo grado a sei anni per stupro di gruppo. 

La procura federale ha deciso di aspettare ed è vero che, con lo statuto ordinario, succede per politici che hanno ben altre responsabilità e mantengono la carica pure in presenza di dubbi laceranti, riguardo a reati gravissimi, però lo sport, giustamente, si dichiara diverso. Lo è. Non è un caso che abbia tribunali propri e legislazioni a parte: è l’unico ambito in cui l’intero mondo ha un iter comune, a tema doping, trattato con lo stesso procedimento ovunque e succede perché la lealtà deve essere totale.
Se il mercato si fa bello dell’acquisto di un difensore con procedimenti penali aperti per violenza domestica, se la Roma si indigna per le logiche domande su un’impiegata vittima di revenge porn, licenziata, se davanti all’ipotesi di uno stupro di gruppo si sospende il giudizio, allora sospendiamo anche i segni rossi in faccia. Mettete i messaggi in pausa, fateci prima capire che cosa volete dire.

 

E ALLORA JUAN JESUS?

| Giancarlo Dotto sulla Gazzetta divide in due il suo commento. Nella prima parte colpevolizza Juan Jesus [ha sbagliato tre volte] per aver voluto stravincere da Re Magnanimo, ha preteso di assolvere l’eventuale peccatore dopo averlo denunciato, alias nascondere lo sporco sotto il tappeto, nel nome della vecchia regola mafiosetta «sono cose di campo». Scrive che Juan ha perso una grande occasione. Avrebbe dovuto raccontare la sua verità a caldo, lasciando voce alla sua ferita

E Acerbi? Non importa se pensi quello che dici, quello che dici è quello che pensi. Tu diventi razzista nell’esatto istante in cui ti esprimi da razzista. Non hai bisogno di un pensiero. L’essere un razzista acefalo non ti assolve. Anzi, è un’aggravante

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IL BUON SENSO

| Pietro Senaldi su Libero trova che sia difficile crocifiggere il giocatore, se nessun video lo inchioda, lui lo sa e, forse dopo qualche tentennamento iniziale, tiene duro. La sensazione è che Acerbi abbia 36 anni ma non sia maturo. Sotto traccia, la società lo difende: attaccherebbe pure Putin, se ci parlasse, è il pissi-pissi di chi lo conosce bene. L’offeso, Juan Jesus, prima ha detto di non volerla tirare troppo per le lunghe, forse perché in debito con l’Inter, che lo ha lanciato nel grande calcio, dopo però è tornato sull’argomento: «Acerbi mi aveva chiesto scusa, poi ha cambiato versione. Così non ci sto. Il razzismo si combatte qui e ora». Giochiamo con il buonsenso, che al ragazzo attempato potrebbe essere mancato. Colpevole o innocente, ha abbassato il capo e ha obbedito, accettando la punizione senza reato provato. Se non ci sono prove per incastrarlo, finiamola lì; altrimenti gli si dia una punizione, ma non assassina

Senaldi conclude: Sono riuscito a finire il pezzo in difesa di Francesco senza dire che il calcio non è uno sport per signorine; ma non è neppure più per razzisti, e questo chi gioca in A dovrebbe averlo imparato da un pezzo.

 

UN PROBLEMA ITALIANO

| Marco Ciriello su Domani scrive di Jesus che ha porto l’altra guancia raccontando pure lui di quando ai microfoni di Dazn a fine gara ha detto: «Acerbi mi ha chiesto scusa, è un bravo ragazzo, e poi quello che succede in campo rimane in campo». 

Ci fosse stato Beppe Viola – scrive Ciriello – avrebbe replicato: «Forse nei campi di cotone». Ma, invece, c’era Diletta Leotta e tutto è ripreso come se nulla fosse. Jesus ha perdonato e si è continuato con lo slogan che ripetevano calciatori e allenatori, e via. «Keep Racism Out». «Keep Racism Out anche a lei». Non si può fermare la campagna e chiedersene il senso, no, rovinerebbe il messaggio, meglio ignorare il fatto che ha già smentito il messaggio.

Non si tratta di crocifiggere Acerbi – continua Ciriello – ma si tratta di lavorare su un problema italiano che esiste, che riguarda anche il nord e il sud del paese, le persone che emigrano, quelle che scelgono di uscire dal canone sessuale, religioso, politico imposto, insomma, è un problema molto più grande, di cui Acerbi è solo l’ultima spia luminosa accesa per un attimo dallo stupore di Juan Jesus che poi ha lasciato correre. Ma gli altri? Il senegalese nel parcheggio, il siriano sulle coste calabresi, il cinese sotto casa, quello strano di basket e via così?

 

LA PREVALENZA DEL “MA”

 | Cristiano Gatti sul Corriere dello sport-stadio sottolinea come da gloriosa tradizione nazionale siamo subito passati al ma, imboccandolo come la prima uscita buona dalla tangenziale. Non è esatto, Juan Jesus: se può bastare a te questa soluzione, non basta più al nuovo codice civile che in qualche modo, a fatica, con troppi ritardi, lo sport s’è dato. Se Acerbi ti dà del negro, se è vero che Acerbi ti ha dato del negro, non è una questione tra voi, da regolare nei corridoi: è una gravissima questione che abbiamo tutti scelto di condividere, stabilendo norme e pene molto dure, piaccia o non piaccia la mano pesante.  Invece. Ogni volta montiamo la fiera dell’ipocrisia. Premessa a gettone – il razzismo va combattuto duramente -, poi via con il catartico ma, che ripulisce tutto, ma è un bravo ragazzo, ma ha combattuto contro il tumore, ma è la tensione del momento, ma sono cose di campo, ma ha chiesto scusa, ma in fondo non ha ucciso nessuno.  Gira e rigira, c’è sempre un ma tra noi e un mondo decente. Con quel ma, paracadute e foglia di fico, ne usciamo ogni volta peggiori di prima. D’altra parte, siamo sempre quelli che si segnano entrando in campo, per poi giocare intensi bestemmiando come satanassi

 

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