I portieri italiani non sanno uscire. Lo dicono in Francia: colpa di Donnarumma

  Il primo a sentirsi rinfacciare la diversità del passaporto fu Taffarel. Veniva in serie A dal Brasile e nell’immaginario del calciofilo italiano il portiere brasiliano era sempre un Valdir Peres.

In verità quel Valdir Peres non era neppure così scarso come ci tramandiamo, ma aveva il torto di portare su di sé l’onta del Mundial 82 e della tripletta di Pablito, così come il povero Moacyr Barbosa aveva portato addosso per il resto della vita le nuvole basse del Maracanazo e il gol di Ghiggia.

Taffarel, figuriamoci. Adesso prendiamo all’estero anche i portieri, noi, gli italiani, i migliori del mondo. Così pensammo nel 90. Di un brasiliano, poi. E lo pensammo pure di Joe Hart che arrivava al Torino, un’altra bestemmia, un portiere inglese nella terra di Zoff, Albertosi, Buffon eccetera eccetera.

IL PORTIERE SECONDO BRERA

Per molto tempo ce la siamo suonata e ce la siamo cantata. Nel 1972 usciva la prima edizione di un libriccino a cura di Gianni Brera dal titolo Il mestiere del calciatore. Brera analizzava alla sua maniera tratti fisici e psicologici dei ruoli in una squadra. Sul portiere aveva una serie di certezze.

Lo stile serve il più delle volte a ingannare i gonzi, numerosissimi in ogni ordine di posti, a incominciare dalla panchina. I compagni non si curano affatto del modo, bensì dell’efficacia degli interventi. I compagni vogliono essere sicuri: né perdonano al portiere che esiti, mettendo in ancor più grave evidenza la loro colpa. Il portiere è un’anima in pena: un mattocchio estroverso o introverso, a seconda dell’indole

E ancora scriveva: Una partita influisce al punto da smagrirlo di due o tre chili. Anche stando fermi a soffrire ci si disidrata: e sudare da fermi non è mai bello.  Se è un gigante mette tenerezza per la sua goffaggine. L’italiano normale è un omarino: poter avere compassione di un fusto è occasione che gli è sempre gradita.  Il portiere di una grande squadra non nasce quasi mai in casa: viene acquistato presso squadre piccole, nelle quali si è distinto lavorando molto e brillando, esaltato, in ogni intervento. Ma solo se è un vero campione riesce a reggere. Una grande squadra non può avere che un grande portiere. Non tutti poossono nascere Zamora. Le squadre italiane sono 10.000: fra titolari e riserve almeno 15.000 sono anche i portieri. E fra loro c’è sempre lo Zamora in potenza, ma per un verso o per l’altro non riesce a emergere, i suoi sogni svaniscono con gli anni

 

 

IL CASO DONNARUMMA

A queste pagine è volato il pensiero una volta emersa l’ultima verità sul conto dei portieri italiani. Non sanno uscire. Non lo hanno mai saputo fare. È la tesi di Jérôme Alonzo, ex numero 1 del PSG, oggi consulente del canale televisivo de L’Équipe. Ne ha parlato al giornale del gruppo per cui lavora, dando il proprio parere sul nuovo momento grigio che vive Donnarumma, messo sotto accusa per i tre gol presi mercoledì nell’andata dei quarti di finale di Champions League con il Barcellona. Loïc Tanzi ha scritto che nella partita di ritorno di martedì la pressione non sarà solo sulle spalle di Kylian Mbappé, ma pure su chi è direttamente o indirettamente colpevole dei tre gol subiti all’andata. Lui. Gigio. 

L’Équipe scrive che le sue buone prestazioni in questa stagione avevano fatto dimenticare gli strafalcioni mostrati nei due confronti a eliminazione diretta giocati in Champions, quelli col Real Madrid tanto per cominciare. Fino a mercoledì Donnarumma stava vivendo una delle migliori stagioni della sua carriera. Poi si sono riaccesi tutti i dubbi. Con una domanda: ha fatto davvero dei progressi dal suo arrivo? Gli staff di Mauricio Pochettino e Christophe Galtier hanno cercato soluzioni per rimediare alle sue carenze.

Il risultato?  Non ci siamo. Non ci siamo, dice Jérôme Alonzo, perché Donnarumma si porta dietro il peccato originale della scuola tecnica alla quale appartiene. È italiano. Come Toldo, come Buffon, come Pagliuca, come Zoff., tutti – dice Alonzo – portieri che non escono. Questo è lo schema da rompere per consentire a Donnarumma di raggiungere un livello più alto. Non può prendere un gol come quello di mercoledì. Tutti commettiamo degli errori, ma il suo atteggiamento con il Barcellona non mi è piaciuto. Ho visto un ragazzo agitato, come se fosse la sua prima partita di Champions League. Borja Alvarez, l’attuale allenatore dei portieri del PSG, ha cercato dall’inizio della stagione di insegnargli un nuovo approccio al ruolo. Con quale risultato? Il suo gioco di piedi non è molto migliorato. Ma dobbiamo smetterla di allenarlo a giocare con i piedi, il suo vero problema sono le uscite. Il Barcellona lo ha preso di mira». 

 

L’Équipe tira fuori numeri e cifre, secondo le quali esiste un Donnarumma da Ligue 1 e un altro – peggiore – da Champions League. Dove la sua percentuale di parate è più bassa [81,63% in Francia rispetto al 71,43% in Europa], i suoi gol evitati crollano da 11,11 a 0,01, il suo ricorso al getto del pallone lungo e lontano sale dal 16.7% al 28.3%. Secondo Alonzo i compagni devono farsi sentire. «A un certo punto, devono dirgli quel che non va bene. Ai miei tempi, Gabriel Heinze e Frédéric Déhu mi hanno tormentato, nel senso buono della parola, affinché migliorassi dopo un mio grande infortunio». 

Sono opinioni. Sono tesi. Ognuno di noi si innamora di una convinzione. La cosa curiosa è che secondo Alonzo per martedì Donnarumma può farcela. In due-tre giorni può imparare come si esce. Riscattando così decenni di portieri italiani che no, proprio non ne avevano idea. 

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