Il mondo di Julia Ituma

Ho diciotto anni e già la felicità ha il sapore della memoria

Alessandro Baricco

 

L’agenda su cui ogni settimana sono scanditi temi, discussioni e personaggi di cui ci piace parlare, stamattina aveva un cerchio intorno al nome di Paola Egonu, perché stasera gioca con la sua squadra turca del VakifBank la semifinale di ritorno della Coppa dei Campioni, e poteva restare, potrebbe restare, il solo pezzo di pallavolo italiana alle finali di Torino. 

C’era un cerchio intorno al nome di Arina Fedorovtseva, una ragazza russa di 19 anni che di Paola stasera è avversaria con la maglia del Fenerbahçe, una delle novità di questo sport dal ricambio generazionale costante, pieno di luci. Lo sanno bene a Scandicci, dove i vent’anni di Ekaterina Antropova hanno portato alla vittoria in Coppa CEV. 

Questo c’era sull’agenda, prima che tutti questi cerchi si incastrassero fra loro e si spezzassero, tutti, tutti insieme, quando dalla Turchia è arrivata la notizia di Julia Ituma, 18 anni, che nei nostri slogan già avevamo battezzato come la prossima Paola Egonu, in attesa di rivederla a Scandicci l’anno prossimo. 

 

La cronaca

 

| Brunella Giovara, Repubblica: “Alle 22 Julia chiama la madre, e chiacchierano un po’, lei commenta la partita e poi ciao, a dormire. Ma Julia non dorme proprio, anzi esce dalla stanza che divide con la spagnola Lucia Varela, e decide di stare da sola nel corridoio. Le telecamere interne dell’albergo la inquadrano a lungo, tra le 22.30 e le 23.50. I pantaloni corti, la felpa nera con le maniche lunghe, le scarpe, quelle che troveranno davanti all’ingresso. Cammina su e giù, avanti e indietro. Ha il cellulare in mano, e ogni tanto lo usa, la polizia lo ha sequestrato per capire con chi ha parlato e a chi ha scritto. 

Di sicuro ha parlato con un ragazzo, un suo compagno di scuola nel liceo privato di Novara dove studiava da quando è entrata nella Igor Gorgonzola. Hanno litigato, come succede ai ragazzi. Erano fidanzati? Non si sa, ma di certo hanno discusso e a lungo e pesantemente, tanto che quel ragazzo ha poi mandato messaggi a Lucia, per dirle quello che era successo, e voleva essere sicuro che Julia fosse tranquilla. E lei non lo era, perché il video la riprende poi seduta per terra sulla moquette, la schiena appoggiata alla parete. È davanti alla sua stanza, e lì sta tanto, e a un certo punto è proprio abbandonata a una disperazione evidente. Racconterà alla polizia la compagna Lucia che al suo rientro si sono messe a parlare, e così sono andate avanti fino all’una e mezza di mattina. Di cosa hanno parlato? Del litigio, sicuro. Della partita, probabilmente, e anche della loro vita di giocatrici professioniste, piccole di età ma già autonome (Julia aveva uno stipendio da 3mila euro al mese), sono indipendenti, grandi, talvolta famose, in carriera. E poi Lucia si è addormentata. L’altra ha aperto la finestra scorrevole, scavalcato il parapetto, e così se ne è andata.

 

|   Marco Piatti, la Stampa: Intorno alle 5,30 c’è stato un brusco risveglio per le ragazze, avvertite dal dg Enrico Marchioni della tragedia. Svegliata di soprassalto dalla polizia la compagna di stanza di Julia, la spagnola Lucia Varela Gomez, 19 anni e anch’essa arrivata a settembre alla Igor. «Non mi sono accorta di nulla, stavo dormendo, ricordo che abbiamo parlato io e Julia fino all’1,30 poi sono crollata dal sonno», avrebbe detto agli investigatori, secondo quanto riportato dai media di Istanbul.

Un volo di una ventina di metri terminato sulla pensilina dell’hotel: a testimoniarlo sono le foto che arrivano dalla Turchia che evidenziano una grondaia piegata. Nessuna traccia di sangue a terra. Solo un paio di scarpe azzurre, le sue, ancora allacciate, ricomposte dalla polizia.

| Lodovico Poletto, la Stampa: Quando il bus delle ragazze della Igor arriva a Trecate, dove ha sede la polisportiva da cui è nata questa storia di sport e di successo, sono le 21 passate. E non c’è uno in questo cortile che pronunci parola. La direttiva della società ha un peso, certo. Ma più forte di tutto il resto è il dolore dell’anima. Quello che leggi negli occhi e sulle guance di un altro gigante di questa squadra, la capitana. Si chiama Cristina Chirichella, e stasera scende dal bus, abbraccia tutti e va via piangendo.  Con i suoi profili social avari di istantanee della sua vita extrasportiva. Ecco, in quelle istantanee ce n’è una soltanto felice: Julia in piscina con l’amica ed ex compagna Stella Nervini.  tra meno di un mese avrebbe lasciato Novara per tornare allo Scandicci. Hanno sequestrato il suo cellulare quelli della polizia di Istanbul. Leggeranno i suoi segreti. Forse, alla fine, qualcosa in più si saprà. Anche delle sue fragilità. Ma ormai è troppo tardi

 

Lei, Julia

 

| Davide Boretti, La Stampa: Seconda figlia di una coppia di origini nigeriane, a 11 anni aveva iniziato a giocare a pallavolo nella polisportiva parrocchiale San Filippo Neri, ad Affori, quartiere di Milano. «La vedevo fin da piccola nel mio negozio – racconta il vicino di casa Mamadou Dian -. Sono una famiglia molto unita».

| Brunella Giovara, Repubblica: E questo di lei dicevano tutti: dopo la Egonu ci sarà Titu, la ragazzina che andava all’oratorio in Bovisa, a Milano, la ragazza che subito è entrata nel Club Italia, quella che saltava più in alto di tutte, che amava giocare come nessuna, era tutto un peana e un lanciarla sempre più in avanti, Julia. Poi, si sa che anche questo è un bel peso da portare, che le corone da regina sono difficili da tenere sulla testa

| Pierfrancesco Catucci, Corriere della sera: “L’ultimo post su Instagram è di nove mesi fa, la ritrae in un abbraccio sorridente con l’amica ed ex compagna nelle Nazionali giovanili Virginia Adriano. A differenza dei suoi coetanei, Julia Ituma non era molto social, giusto qualche storia ogni tanto e poco più. Sul campo da pallavolo, invece, era un portento: una perfezionista.

Per gli addetti ai lavori era la nuova Egonu (anche se lei si ispirava al centrale cubano di Piacenza Simon), un paragone ingombrante che le aveva messo anche un po’ di pressione: «Essere comparata a una giocatrice di questo calibro è difficile — aveva confidato a gennaio al quindicinale della scuola di giornalismo Tobagi di Milano — ma è anche un onore. Paola è sempre stata un punto di riferimento. Allo stesso tempo, avendo caratteristiche diverse da lei devo imparare a concentrarmi più su me stessa che sul cercare di raggiungerla, altrimenti rischio di diventare una sua brutta copia»

Un talento atletico incredibile: alta 192 cm, a 15 anni già saltava a 3,35 metri (la rete femminile è a 2,24 metri), quota inarrivabile anche per tante giocatrici di livello. Ed era potente, tanto potente.

Claudio Lenzi, la Gazzetta dello sport: Il nido di mamma Elizabeth – il vero faro della famiglia – la sorella maggiore Vanessa e il fratellino 15enne. Non il padre, allontanatosi ormai da molto tempo. Gli inizi Non c’era già quando a 11 anni la piccola decise di provare con la pallavolo nell’oratorio afforese di San Filippo Neri, dopo aver assaggiato il basket. «Ricordo che spesso nel pomeriggio correva con la mamma qui intorno, si fermavano a bere alla fontanella e poi Julia entrava in palestra ad allenarsi» il pensiero di suor Luisa.

 

Le reazioni

 

    La madre | Brunella Giovara, Repubblica: Ieri sera è infine arrivata nella stanza 606 del Volley Hotel, il posto dove tutte le squadre internazionali passano, costruito a fianco del palazzetto della pallavolo di Istanbul, il Burhan Felek Sports Hall. Una donna alta e sottile, e così somigliante alla figlia, appena arrivata da Milano con la sorella Helen. Ha guardato il letto non ancora rifatto, e si è anche affacciata alla grande finestra che dà sul parcheggio, e guardando in basso ha facilmente immaginato la caduta di Julia, dal sesto piano fino alla tettoia che copre l’ingresso.

…  Alla mamma si dice sempre la verità, forse. E l’ultima chiacchierata con Julia è stata vera e così sincera che «mi ha detto: mamma, abbiamo perso. Io ho fatto due punti, ma la squadra ha fatto schifo». E com’era, Julia? «Forte, come sempre. Era una ragazza molto forte, e non solo in campo. A 17 anni era in Serie A, quante sue compagne sono ancora in C. Aveva il successo nelle mani… Era così forte, la mia ragazza, che non posso credere che si sia voluta buttare da una finestra. E poi qualcuno mi ha detto che era un balcone, insomma io voglio vedere con i miei occhi, i documenti, il posto. E Julia 

Vorrei svegliarmi ma non ci riesco. Non riesco a realizzare questa cosa. E la sua compagna di stanza non ha sentito niente? Mi sembra impossibile. Io non sono ancora riuscita a piangere, perché non ci credo ancora. A Pasqua eravamo insieme, abbiamo festeggiato con la famiglia, noi e i suoi fratelli. Julia era contenta».

 

    La zia | Brunella Giovara, Repubblica: La zia Helen racconta che qualche sera fa avevano giocato insieme, «mi sfidava a una gara di ballo, un rap del nostro Paese di origine, la Nigeria. Si balla dimenando il sedere, e abbiamo tanto riso. Poi è diventata seria e mi ha detto che basta, doveva andare a dormire perché il giorno dopo aveva l’allenamento».

 

      Il primo allenatore | «Aveva il 46 e mezzo di piede ed era alta 1,87 a undici anni quando l’ho vista giocare per la prima volta» ha raccontato Claudio Rocca che di Julia è stato il primo allenatore alla polisportiva San Filippo Neri a Milano, dove la giovanissima atleta aveva fatto i suoi esordi, assieme alla sorella Vanessa di due anni più grande. Tra Affori e Bovisasca alla periferia Nord di Milano viveva con la famiglia. «Julia era dal punto di vista atletico impressionante, ma anche riservata e timida, essendo la più piccola del gruppo. Da noi al San Filippo Neri esordì a 12 anni in seconda Divisione e seppur ancora acerba tecnicamente, fu subito notata da diverse squadre. La incoraggiammo a fare i provini per le nazionali giovanili e con il Club Italia, al centro Pavesi di Milano iniziò una preparazione intensissima con 5 allenamenti alla settimana, approdando fino alla A2» ha concluso Rocca– intervista di ilaria solaini, Avvenire

 

    «Chi ti conosce davvero sa che anima fragile tu fossi, quanto bisogno d’amore si celasse dietro ai tuoi gesti, alle tue parole forti, alle tue arroganze» | Stella Nervini – sua ex compagna nel Club Italia 

 

  «In palestra bisognava sempre convincerla a smettere, per lei l’allenamento non sarebbe mai finito. Aveva un’incredibile determinazione. Anzi, era una ragazza con una capacità di reazione alla sconfitta o al momento difficile che definirei esemplare, a volte anche dirompente. Aveva una forza d’animo davvero impressionante, sapeva rialzarsi dopo una caduta sportiva. Non potrò mai dimenticare un abbraccio che mi ha dato a fine partita: non era nella sua natura | Marco Mencarelli – allenatore del Club Italia, su la Stampa

 

  voci Massimo Bellano, il suo Ct nelle Nazionali giovanili 

 ➣  Ce la racconti.

«Timida forse, introversa con i suoi allenatori, gioviale invece con le compagne che avevano voglia di scoprirla. Questo sì: dovevi aver voglia di scoprirla. E ti si spalancava un mondo. Era una persona bella. Da allenare e da starci insieme. 

Aveva iniziato tardi, a 14 anni, in una piccola società di Milano. Ma aveva quelli che noi tecnici chiamiamo chiari indicatori di talento. Innanzitutto fisicamente era molto dotata, schiacciava ad altezze impensabili per tantissime giocatrici. Abbiamo lavorato fisicamente con lei, si è rafforzata sulle gambe per reggere l’urto dei suoi salti altissimi.

…  Aveva una capacità rara di reagire alle difficoltà, e questo le veniva dalla grande passione per la pallavolo. Era molto intelligente. Parlava con gli occhi e con la mimica facciale. Era molto educata».

 ➣  In alcuni messaggi social, alcune sue ex compagne fanno riferimento a fragilità, a debolezze.

«Nulla che fosse emerso ai miei occhi. Nel Club Italia avevamo la possibilità di affiancare alle ragazze, su richieste singole, degli psicologi. Qualche ragazza ha fatto percorsi simili quando erano con noi. Julia no, mai». Dubito che la pallavolo nel triste epilogo della sua vita c’entri qualcosa». – intervista di cosimo cito, la Repubblica

 

  voci  Mauro Berruto, ex Ct e parlamentare

 In aula lei ha detto: «Questa assenza credo che ci debba interrogare». Quali sono le domande davanti al dolore?

«Quando si interrompe una vita di 18 anni, nel pieno del suo potenziale, noi adulti, noi che cerchiamo di costruire il futuro con questi ragazzi, dobbiamo interrogarci sul nostro ruolo, su ciò che non riusciamo a fare, su ciò che invece possiamo fare. Tutti erano assolutamente certi che Julia avesse davanti un grandissimo futuro sportivo. Ecco, allora mi viene da dire: qualche volta noi adulti ci concentriamo sulla capacità di leggere il futuro dei ragazzi e forse siamo meno attenti al presente. In questo momento non possiamo fare altro che stringerci attorno alla famiglia di Julia, alle sue compagne di squadra, ai suoi allenatori, al suo staff, ai dirigenti del club in cui giocava e a tutta la comunità della pallavolo».

 Negli sport agonistici c’è attenzione sufficiente alla fragilità dei giovani atleti?

«Il mondo dello sport non è un mondo perfetto e c’è una grande responsabilità nell’avere a che fare con ragazzi e ragazze in un’età delicata. Ma conosco molto bene quegli ambienti, la società del Novara, la famiglia della pallavolo: non ho davvero dubbi che in questa situazione tragica non c’entrino. Siamo in attesa di capire, se mai si potrà capire, cos’è successo in quelle ore».

 Il tema purtroppo non riguarda solo lo sport. 

«No, mi vengono i brividi quando penso alla tragica sequenza di suicidi che si sono verificati negli ultimi anni fra gli universitari. C’è poi un’altra questione: non abbiamo ancora messo a fuoco quanto abbiano inciso gli anni di pandemia su chi ha vissuto quella fase nel pieno dell’adolescenza». – intervista di serena riformato, la Stampa

 

I commenti

 

  Non possiamo sapere nulla di Julia Ituma e dei suoi pensieri di 18enne forte, audace, splendente, quindi è di noi che dobbiamo parlare. Di questo spaesamento che ci prende là dove immaginiamo possa esistere solo bellezza e troviamo dolore.

Può succedere tutto a 18 anni. Può succedere tutto sempre, è vero, ma a 18 anni di più, perché è quando la vita batte più forte.  La gioia e la rabbia, l’entusiasmo e il vuoto. È vita che preme fino a scoppiare e noi non siamo fatti per accettare che diventi il suo opposto. Se accade stiamo lì ipnotizzati a cercare tracce, chiederci perché, cosa avremmo dovuto vedere o capire prima, cosa non abbiamo fatto per. È così per ogni morte improvvisa, ma forse di più quando a morire è una ragazza che fino a pochissimo tempo fa era una bambina e quindi affidata a noi: alla nostra capacità di guardare e di capire, di sorvegliare e di proteggere. È solo di noi che possiamo parlare e di noi sappiamo questo: che spesso, a un certo punto, i ragazzi che vorremmo proteggere tirano su un muro e noi non riusciamo più a guardarci dentro. Non pensiamo come loro, non reagiamo come loro, non sentiamo come loro e quel che ci resta sono solo la paura e la speranza che alla fine vada tutto bene

…  Si è parlato a vanvera, lo facciamo spesso, di una fragilità generazionale descritta quasi come una colpa. Una devianza. Una stortura di società sazie e lontane dai drammi reali. Quando invece sappiamo – anche qui, col nostro sgomento, l’immedesimazione, il dolore – che essere fragili fa parte dell’essere forti. Sappiamo questo: quello che avremmo voluto dire a Julia Ituma in quel corridoio vuoto. Stai attenta, lontana dalla finestra, rimani in un abbraccio. Resta a letto, dormi, guarda che luce fanno i tuoi occhi. Aspetta la luce. – di annalisa cuzzocrea, la Stampa

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.