Quando lo sci in America era “un circo”. Ora gli USA devono salvare la Coppa

Com’era bello lo sport di una volta. Solo che bisogna mettersi d’accordo su quale volta. Quella volta che a noi oggi pare bella, ieri ai contemporanei non pareva così bella come l’altra volta ancora, la volta prima. Se oggi ci guardiamo attorno, sospiriamo e pensiamo che cinquant’anni fa le cose andavano meglio, cinquant’anni fa si guardavano attorno, sospiravano e pensavano che no, non stavano vivendo in un mondo perfetto.

Lo sci, per esempio. Il cambiamento climatico è in effetti un’esperienza nuova, un’emergenza che non apparteneva agli Anni Settanta. Ma tutti gli altri vizi di cui si parla sulle nevi, erano discorsi già presenti all’epoca. 

Sulla Gazzetta del 5 aprile 74, Arnaldo Dal Fiume raccontava il rientro di Thoeni e Gros dall’America, dove avevano preso parte a una cosa chiamata World Series. Erano atterrati con la faccia stravolta, quella di tutti i reduci da una transvolata notturna sull’Atlantico. Per fortuna, il Jumbo non era pieno; così – dopo il film – avevano potuto stendersi e dormire un po’. A Manhattan avevano trascorso un giorno intero da turisti, erano stati in giro per la città ed anche ad Harlem, poi avevano pranzato da Romeo Salta, ospiti dell’Alitalia.

E va bene, d’accordo, ma com’era andata ‘sta trasferta americana? Non era stata proprio così entusiasmante. Almeno così si evince dal commento attribuito a Thoeni: «Uhm».

I compagni – raccontava la Gazzetta – dicono che Gustavo è nero, e che «quella roba» non la gradisce affatto. Anche se la sua classe è tale che poi ha finito per trionfare sempre.

 

Che cosa è «quella roba»? Circo, sintetizza la Gazzetta, facendosi raccontare i dettagli dal direttore tecnico Mario Cotelli.

«Bisogna innanzitutto rifarsi alla mentalità americana. È gente che concepisce, studia, architetta ogni tipo di gara, anche la più strana. Fanno a chi salta più macchine con una motocicletta, a chi si tuffa da trenta metri centrando in acqua il miglior bersaglio in una serie di cerchi concentrici, a chi va più forte seduto in una cassa su piste di sapone, e trasmettono in diretta per TV queste faccende. Per loro, basta gareggiare e va sempre bene. Il tipo della gara, interessa meno. Questi paralleli particolari, sono adatti ai loro gusti. Modificati potrebbero anche andare. Ma così, sono una forzatura! Ci sono due gabbie di partenza, come nelle corse dei cavalli. Lo starter dà in inglese l’a posto, pronti, via Al via – mentre echeggia una specie di «bip-bip, – il cancelletto si apre e i concorrenti schizzano fuori come pazzi. I tracciati sono un misto di speciale e gigante, con l’aggiunta di un paio di salti. E quando si arriva in una porta, se c’è il salto non si vede quella dopo».

 

E via così per altre tre-quattro colonne. Dunque, quando guardate lo sci, vi lamentate e rimpiangete i tempi di Gustav Thoeni, ricordate che ai tempi di Gustav Thoeni rimpiangevano Zeno Colò.

LE PROSPETTIVE

La cosa buffa è che questi americani così bizzarri, così eretici, così fuori dai canoni, adesso sono una speranza di salvezza per lo sci euro-centrico. La Norvegia ha proposto un piano di riordino dell’attività alla federazione internazionale, scossa da una stagione che dire tormentata è poco. Ne ha scritto Neve Italia qualche giorno fa. La Coppa del Mondo si dividerebbe a blocchi, per ridurre i viaggi e per cominciare a fine novembre in Nord America.

Secondo un rapporto pubblicato da Nature nello scorso mese di agosto, il 53% delle 2234 stazioni sciistiche in 28 paesi europei sono ad altissimo rischio di fornitura neve nei prossimi anni. Iniziare in Nord America e concentrare lì una prima porzione di Coppa ridurrebbe le emissioni del 29%, sfruttando la presenza in Cile e in Argentina delle squadre nel mese di settembre. Insomma: niente sci in Europa tra ottobre e novembre, quando le condizioni non sono favorevoli e niente trasferta statunitense da fine febbraio.

Se non vi piace, non vi lamentate del circo.

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