Come Jokic sta cambiando il basket e la percezione del corpo nei ragazzi

  Non giocheremo più a pallacanestro come abbiamo sempre giocato. Non giocheremo più a pallacanestro come fino all’altro ieri. Questo succede quando arriva qualcosa, qualcuno e cambia lo scenario. Traccia una riga, un solco, ci sono un prima e un dopo. L’ha fatto Steph Curry con il suo tiro da tre. Ha cambiato le trame delle partite. Ha imposto a tutti di imparare. Ha spinto pure i centri a uscire dall’area e cercare il canestro da laggiù. Ma l’evoluzione non si ferma. Avanza per strappi. Il prossimo è l’Effetto Joker, così lo chiama la rivista The Athletic, dove per Joker si intende Nikola Jokic, il serbo già due volte mvp della NBA, l’artefice dell’anello a Denver, il più riluttante dei divi mai visti su un campo. Va in ufficio, fa le sue cose, torna a casa e alle sua passioni, in genere i cavalli. Le sue cose sono quasi sempre le triple-doppie, cioè punti rimbalzi e assist in un numero dai 10 in su. Ha questo vizio. 

 

 

Ma non è sulle statistiche che si regge l’Effetto Joker. Questo non è un panorama che muta con i numeri. Ha già visto passare un mucchio di super eroi dalle cifre esagerate. È con uno stile differente che si porta il basket da un’altra parte. Jokic lo sta facendo avendo inventato un ruolo che non c’era. Il centro di regia

Basta sporgersi oltre la NBA per capire cosa accadrà mentre sta accadendo. Lo racconta CJ Moore su The Athletic spiegando che nel campionato di basket universitario esistono quasi solo centri alla Jokic, o comunque adesso li vanno formando così. 

Quando Fred Hoiberg lasciò un lavoro di front office con i Minnesota Timberwolves nel 2010 per allenare lo Iowa State – racconta – era in anticipo sui tempi nel costruire il suo roster. Hoiberg era avanti pure quando ha preso Royce White. White è un giocatore costruito nel fisico come un giocatore della NFL ma pensa al gioco come un playmaker. Hoiberg lo ha scelto avendo in testa un ruolo non tradizionale: il suo centro avrebbe giocato da playmaker.

 

Hoiberg ora allena il Nebraska, tornato alle finali del torneo NCAA per la prima volta dopo otto anni. Il filo conduttore tra tutte le apparizioni è un giocatore al centro con quelle caratteristiche lì. uno che giochi come White, un ibrido. L’attuale lungo di Nebraska si chiama Rienk Mast: palleggia, passa, tira. Un prototipo che sta invadendo la scena. Scrive The Athletic che ormai si può trovare una versione di un centro in regia nella metà delle squadre.

Gli allenatori universitari hanno capito che il modo più semplice per eseguire un attacco efficiente sono gli attacchi con centri che possano uscire sul perimetro e tirare. E se anche non possono tirare, che almeno possano servire un compagno, portandosi fuori un lungo avversario.

E dunque ci siamo, ci siamo proprio. Nello stesso modo in cui Steph Curry ha influenzato una generazione di guardie alzando la frequenza delle triple e aumentando la distanza del tiro, il serbo dei Denver Nuggets Nikola Jokic è ora il giocatore più dominante e divertente del pianeta, ed è diventato cool per i lunghi scrive CJ Moore.

 

 

La facciata-B di questa storia è che ci sono sempre meno playmaker tradizionali. La mentalità di una guardia è cambiata. Tyrese Haliburton è l’esempio di quanto sia insolito trovarne ormai uno a cui piaccia passare. Ecco perché addirittura Pascal Siakam ha accettato di andare a giocare nella sua squadra, gli Indiana Pacers, anziché aspettare di diventare un free agent. Perché hanno un play-superstar a cui piace passare la palla. È un’anomalia. 

Oggi è più facile trovare un centro che ami passare. Due dei primi cinque giocatori nella classifica degli assist NBA sono lunghi: con Nikola Jokic c’è Domantas Sabonis di Sacramento. Quanto alla NCAA secondo le statistiche citate da The Athletic gli assist dei lunghi sono aumentati nella media-partita da 1,3 del 2012 ai quasi 2 di oggi. Se hai un lungo che passa bene, un playmaker tradizionale non è più così necessario. Hoiberg in Nebraska, per esempio, non ce l’ha.

 

NUOVE IDEE

Jokic non è solo un prototipo. Sta offrendo agli allenatori anche nuove idee. Due anni fa, l’allenatore universitario di Marquette Shaka Smart si è rivolto all’assistente dei Nuggets David Adelman per avere consigli sulla costruzione di meccanismi offensivi. La risposta di Adelman è che adesso lasciano ai giocatori la libertà di sperimentare situazioni, proviamo, vediamo dove andiamo a finire. 

Chiedete a qualsiasi lungo del basket universitario chi guarda di più in questo momento e tutti vi risponderanno: Jokic. Clingan lo idolatra e lo studia Jokic. Avila si fa mandare videoclip di Jokic ogni venerdì. La cosa più taciuta è che Jokic ha cambiato il modo in cui vediamo i corpi dei giocatori del basket e ha cambiato il modo in cui i ragazzi vedono se stessi

Jokic non può certo dirsi un atleta d’élite. Non ha il fisico di un velocista o di un saltatore in alto. Ma secondo Ryan Pannone, uno dei coach di Alabama, è un atleta fantastico in un altro senso, per la sua capacità di elaborare informazioni e reagire rapidamente, una caratteristica che lo rende più atletico e capace di trovare angoli fantastici. Come lui: Luka Doncic. Sono due giocatori che compensano la mancanza di velocità dei piedi con una coordinazione occhio-mano e un controllo del corpo fuori dalla norma. Decidono dove portare il difensore, in quale zona del campo, la zona dalla quale vogliono colpire. 

Ecco, dice allora The Athletic, che sono questi pensatori rapidi sono diventati i migliori passatori del basket universitario, indipendentemente dalle dimensioni del corpo. E al citofono sta bussando Victor Wembanyama.

 

COVER  Ritratto di Joel Kimmel  [il suo portfolio]

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