La Amstel di Pidcock, il Charles Aznavour del ciclismo mondiale

Tom Pidcock deve sentirsi come Fiorenzo Magni, sempre che conosca la storia del suo meraviglioso e torrido mestiere. Deve sentirsi come Charles Aznavour, come l’io tra di voi, sempre che abbia un minimo di passione per gli chansonnier della Francia. Tom Pidcock deve sentirsi un intruso, certamente quando pedala sul fango, in riva alle acque, quando si carica la bicicletta sulla spalle e sale le scale. Quando va per ciclocross insomma, quasi sempre in una gara dove c’è pure Mathieu van der Poel, un’altra dove c’è Wout van Aert, una terza nella quale si presentano tutt’e due. Ha un merito e una sorte. Il merito è fare le stesse cose loro. Corre le Classiche sui muri e sui ciottoli, va ai Grandi Giri, si dà al ciclocross, gli piace la mountain bike. La sorte è non saperle fare bene come loro. Succede. Non si può essere sempre il primo. Molte volte non si può essere neppure il secondo. Certe volte capita di essere il terzo, un io tra di voi. Non è neppure un cattivo destino. Se gli altri non ci sono, vinci tu. 

 

È andata così, con van Aert che si sta curando e van der Poel che si è sfilato, anzi come scrive Pierre Callewaert su L’Équipe è sceso senza preavviso dalla nuvola dove galleggiava da diverse settimane. Pidcock ha avuto il merito di fiutare l’occasione e lasciare il segno negli ultimi 35 chilometri.

Eccolo qua un altro di quelli che sa far tutto, che invidia, mamma mia. Nelle sue pagelle per Tuttobici Pier Augusto Stagi ha scritto che finalmente il 24enne britannico della Ineos Grenadiers si prende ciò che meritava già di avere e per una ragione o per l’altra gli è sempre sfuggito. Ecco fatto, con una volata sontuosa, dopo una corsa attenta e concreta, su un percorso da montagne russe, da pallina da flipper che corre all’impazzata su quelle strade toboga che tolgono il respiro, il fiato, lucidità. Atleta poliedrico, polifunzionale e multidisciplinare.

In effetti è stato oro olimpico a Tokyo nella Mountain bike, ha vinto il mondiale Élite e Under-23 di ciclocross, su strada una tappa al Tour, una Strade Bianche, adesso la Amstel, il primo del suo regno a vincere nelle Ardenne. 

 

 

La rivista Rouleur dice con Stephen Puddicombe che si tratta di un talento generazionale, eclissato dalle altre grandi stelle delle Classiche, incline a volte a non essere all’altezza di sé stesso nelle gare più importanti in cui viene considerato il favorito

Al Fiandre un anno fa si presentò agli ultimi km senza aver mangiato a sufficienza. Al Tour è uscito di classifica nella seconda settimana. Ma ha solo 24 anni e le Classiche delle Ardenne sembrano il terreno a lui più congeniale. È stato il primo a capire che la corsa non sarebbe andata come previsto. Per un semplice motivo: Mathieu van der Poel non avrebbe attaccato.  

La corsa modesta di Mathieu Van der Poel e della sua squadra – dice Rouleur – rende difficile distinguere il trionfo di Pidcock dalla battuta d’arresto dell’olandese. Mathieu non era né troppo felice né troppo triste, prima di salire sul pullman dell’Alpecin-Deceuninck, dove il suo manager Christoph Roodhooft, noto per sua gentilezza e i sorrisi, trasmetteva invece molta irritazione.  Van der Poel era destinato prima o poi a subire un crollo. Lo si intuiva già dal Gulperberg, dove ha tentato un primo attacco, meno tagliente dei suoi ultimi assalti. Le aspettative e la pressione crescono ogni fine settimana e in Olanda affrontava la sua terza corsa di oltre 250 km (784,1 km in totale) in due settimane. Ha sicuramente pagato l’assenza di Gianni Vermeersch (ammalato), la sua guardia del corpo nelle Classiche, e la caduta di Quinten Hermans a 70 km dal traguardo.

Dalla Spagna lo criticano. “Apatia”, dice El Mundo. “Pigrizia”, rilancia El Pais. Boh, sarà, ribatte Marc Sergeant dal Belgio, ex direttore sportivo della squadra Lotto, analista per il Nieuwsblad. Per me Mathieu van der Poel resta il favorito per la Liegi-Bastogne-Liegi accanto a Pogacar.  Se avete scoperto di avere impegni per domenica, vi restano cinque giorni per disdire.

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