Il futuro del calcio e dello sport secondo Piqué. Sportify: ci risiamo

Cinque anni fa Peter Moore, amministratore delegato del Liverpool, fu il primo a parlare del calcio in termini nuovi. In una intervista  a El Pais disse che l’avversario della sua squadra non era più il Manchester United, non era il Chelsea, non era il Manchester City. L’avversario del Liverpool era Call of Duty. Il premio in palio non era più il campionato o la Coppa d’Inghilterra. Il premio in palio era il tempo libero delle persone, soprattutto quello dei ragazzi, i titolari delle carte di credito di domani. 

 

Non solo il calcio si è messo a fare riflessioni sull’argomento, tutti gli sport hanno cominciato a ragionare su format nuovi, compromessi, addirittura strappi con la tradizione per inseguire un nuovo pubblico, andare a pescare dove stanno i pesci. La pandemia ha accelerato gli esperimenti legati alla crisi economica. Netflix era nella schiera dei nuovi nemici, ma quando un nemico non lo puoi sconfiggere devi fartelo amico. Così è cominciata la Netflixizzazione dello sport, uno dei risvolti nell’età di Sportify

Sono temi a cui Slalom si appassiona e si dedica da tempo. 

Alcuni spunti sono più concreti, altri – come succede sempre – sono diventati degli slogan.

 

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Piqué è uno dei protagonisti principali di questa stagione nuova. Ha spettinato la Coppa Davis prendendosi le critiche di quel mondo in prevalenza conservatore. Ha scompaginato il calcio con la Kings League. Perciò l’intervista di stamattina al Times è tutt’altro che sorprendente. Mentre Shakira esce con una nuova canzone su di lui e contro di lui [Voldemort: colui che non va neanche nominato. Se tutto va bene, è l’ultima canzone che scriverò su questa storia], lui espone al giornale inglese le teorie che stanno dietro la sua abbondante pratica da barbaro invasore delle istituzioni sportive. 

 

 

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|   CHE COSA HA DETTO PIQUÉ 

«Uno dei motivi per cui abbiamo creato la Kings League è che ho visto i miei figli guardare una partita di calcio, ma dopo dieci minuti erano sui loro telefoni, sui loro tablet e facevano altre cose contemporaneamente. Il calcio è intrattenimento, non è solo competizione con altri sport. Fa concorrenza a Netflix, Amazon, YouTube, TikTok. Tutti abbiamo un tempo libero limitato.

«Il calcio per 90 minuti non è così emozionante. Ho vistoBarça-Napoli, una partita importante di Champions League, ma la 25esima giornata di campionato non la guardo. Vedo il Barça quando posso, non per 90 minuti. Forse per 30 o 40. È una tendenza, sta accadendo. È inarrestabile e bisogna adattarsi. Le persone scelgono ciò che vogliono vedere e solo le partite importanti

«Non si può fermare la tecnologia. L’altro giorno ho messo dei visori per la realtà virtuale. Ero a casa in pigiama, stavo per andare a letto e ho guardato un’intera partita dell’NBA dall’interno del campo. Ogni anno questi prodotti migliorano. Ci sarà un momento in cui metteremo questi occhiali e sarà come trovarsi allo stadio. Bisogna capire dove sta andando il calcio, dove sta andando l’intrattenimento, mescolarli, così che le persone rimangano legate al calcio.

«Il calcio ha paura del cambiamento. Ha una storia enorme, è molto tradizionale, ma il cambiamento avverrà, deve avvenire. Una partita di 90 minuti che finisce 0-0 è difficile da comprendere per la nuova generazione

«Andare alla guida della FIFA o dell’UEFA è molto frustrante. Non puoi cambiare molto. Con i processi, i comitati, è un incubo. Fare il presidente del Barcellona sarebbe diverso perché è il mio club, la mia passione. Non direi mai che è impossibile, è qualcosa che voglio provare. Ma non è il mio obiettivo in questo momento

«In Spagna tutto viene dalla capitale. I giornali e tutto il resto adorano Madrid, a volte a Barcellona ti senti come se non fossi parte di questo paese. Il modo in cui giochiamo a calcio è un esempio per il mondo perché quando vinciamo, lo facciamo in un modo che la gente si diverte a guardare. Questo è qualcosa che il Madrid non avrà mai».  

Segue dibattito. Anche più d’uno. 

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