La pallina da golf che deve andare più piano

     Il baseball va troppo lento: cambiamo. Il cricket non finisce mai: accorciamo. Il calcio spreca troppi minuti: recuperiamo. Il golf va troppo veloce: rallentiamo. Lo sport ha un problema con il tempo. Non lo padroneggia più. Ha un problema soprattutto con il nostro tempo, il tempo libero. Fa fatica a intercettarlo. Noi ne abbiamo sempre meno, loro non sanno se aumentare o ridurre il proprio, non sanno più dove siamo, come venirci a prendere. 

Alla U.S. Golf Association e alla Royal & Ancient Golf è venuta un’idea epocale. Una pallina. Una pallina che va più lenta, più lenta per i professionisti, i dilettanti facciano come credono alle loro Coppe Vattelapesca. 

Negli USA le chiamano golf ball roll back, le palline del passo indietro. Nella scia delle variazioni immaginate dal baseball, ispirate al passato. Lo spirito degli Anni Cinquanta da recuperare, hanno scritto quotidiani e magazine nelle settimane scorse, applaudendo tutti. 

Una pallina ci salverà. Il nuovo modello dovrebbe essere in grado di volare meno, e tutti i problemi spariranno. I produttori sono stati invitati a cercare una soluzione entro il 14 agosto. Se tutto gira secondo i progetti, dal primo gennaio 2026 si parte con la Model Local Rule dai Major in giù.

Martin Slumbers, l’amministratore delegato di The R&A dice che è necessario perché «le distanze delle palline sono costantemente aumentate negli ultimi 20, 40 e 60 anni». Negli ultimi due decenni, la media dei colpi è cresciuta di un metro all’anno. Secondo le stime girate in queste settimane, le 300 yard di un professionista al giorno d’oggi scenderanno a 285 con la palla di domani. 

In giro ci sono troppi bombardieri, per dirla con un termine tennistico, la parola che negli Anni Novanta gettava un marchio di infamia sui tennisti che facevano piovere ace dall’alto del loro metro e 90, con la racchette di nuova generazione. Il tennis pensò di alzare la rete, di togliere il secondo servizio, alla fine non ha fatto niente. Se i golfisti sparano la palla troppo lontano, finisce per vincere il più muscoloso, e i muscoli – così pare – non piacciono alle tv. 

Inoltre, se tanti giocatori tirano sempre così forte e così lontano, allora bisogna adattare i percorsi, servono fairway più lunghi. 

Ma un 18 buche più grande e più lungo – spiega Golfando – necessita di una maggior quantità di acqua per l’irrigazione. E quindi di più addetti per la manutenzione. E allora anche sempre più soldi (oltre a quelli necessari per acquisire nuove aree verdi limitrofe al percorso)

Ovviamente c’è chi resiste, chi si indigna, si impegna, chi mormora e borbotta, chi brontola, chi si oppone. Le industrie, tanto per cominciare. Dovranno sostenere nuovi costi per un mercato ridotto: quello dell’élite. 

Qualche professionista non apprezza. C’è chi sostiene che la pallina è solo una delle variabili. Ridurre la capacità della sua velocità non equivale a ottenere un tiro più corto. Che si fa con i materiali dei bastoni?

I puristi, inoltre, fanno notare che la bellezza del golf – ancora parole di Golfando – va ricercata nel fatto che Scottie Scheffler, Francesco Molinari e il signor Mario Rossi possono giocare insieme e con la stessa attrezzatura. Domani no: Mario Rossi continuerà con la sua pallina Callaway, gli altri due ne avranno una ad hoc. Così facendo si mina l’idea che due golfisti possano scendere in campo ad armi pari con la sola differenza dell’handicap di gioco.

 

    Della questione si sono occupati i francesi di Le Monde in questi giorni di Masters, facendo notare che il 9 marzo scorso, durante il Players Championship al TPC Sawgrass, in Florida, il povero Rory McIlroy ha percorso una distanza che fino a pochi decenni fa sembrava inimmaginabile. Trecentotrentuno metri. Alla fine degli anni ’80, la ricaduta della pallina era misurata in 220, massimo 240 metri, spiega al giornale francese l’architetto del golf, Michel Niedbala. Lui stesso fa notare che se i percorsi si concludono in sessanta colpi anziché 72, smettono di essere interessanti. 

L’Augusta National Golf Club, per esempio, ha comprato i terreni adiacenti per allungare la distanza che separa le buche e costruire partenze più distanti. Così Stuart Hallett, altro architetto dei campi, fa notare che i professionisti oggi giocano su green di mille metri più lunghi rispetto agli Anni Novanta. 

Michel Niedbala, che ha realizzato il campo da golf di Roissy, dice a Le Monde che non tutti i club hanno la possibilità di allargarsi. Gli altri allora cosa fanno? Aggiungono ostacoli, per creare delle difficoltà, ma pure loro finiscono per non rispettare il progetto originale. E così ci giochiamo pure il consenso degli architetti. 

Il caso non è nuovo. Già nel 1977 Jack Nicklaus avvertì dell’aumento delle distanze. Il dirigente dell’USGA, Mike Davis, ha riconosciuto che la faccenda rischiava di danneggiare il futuro del gioco a lungo termine solo nel 2020. Toh, l’anno della pandemia, l’anno del panico, l’anno della riscrittura delle abitudini e della fine dell’invisibilità dei buchi nei bilanci. 

A causa di queste palline-proiettili, come le chiama Le Monde, palline che volano così lontano, certi percorsi sono diventati pericolosi, non lo erano dieci anni fa. Lo sono in particolare quelli che hanno strade o case in prossimità. È il caso della Biarritz Cup, con un green lungo solo 5.400 metri, in pieno centro città. E allora, pallina, aiutaci tu. 

 

UN BEL GIRETTO DI PAROLE DOPPIATE

La pallina da golf che fa disastri

#846  Barzelletta

Slalom 24 gennaio 2022

Allora. C’è una barzelletta in casa mia.

Un giorno un golfista sul green mette la mano davanti agli occhi per ripararsi dal sole, guarda lontano e pam, spara il suo tiro. La palla vola vola vola vola. Vola così tanto che esce dal campo visivo. Dove sia finita non si sa. Finché il golfista dopo un po’ non vede arrivare da lontano un uomo. Un signore dal passo veloce e il viso teso. 

Tiene la sua pallina stretta tra le dita, come schiacciata tra il pollice e l’indice. 

Gli dà del voi, perché nelle barzellette a Napoli ci si dà del voi.

«L’avete tirata voi questa pallina?».

«Sì».

«Voi non sapete che avete combinato».

«Che ho combinato?».

«Questa pallina è arrivata dall’altra parte della strada e ha colpito un camion che stava camminando su un cavalcavia lungo l’altra carreggiata. Ha sfondato il vetro dal lato dell’autista e lo ha colpito in fronte. È morto sul colpo».

«Noooo. Dio mio, che ho combinato».

«E fosse niente. L’autista ha perso il controllo del camion, che è sbandato, ha fatto un giro su sé stesso e ha travolto sette o otto macchine. Ci stanno dodici morti e quattordici feriti».

«Noooo. Sono disperato oooo».

«E fosse niente. Una delle macchine colpite ha sfondato il guard-rail del cavalcavia ed è caduta nel vuoto. È andata a finire nel fiume di sotto, l’impatto è stato così violento che ha fatto straripare il fiume e le acque hanno ricoperto le case del paese là attorno. Una tragedia, morti, feriti, sfollati».

«Noooo. Non è possibile. Sono distrutto».

«Siete distrutto?».

«Sono distrutto».

«Siete distrutto?».

«Devo fare qualcosa»

«Dovete fare qualcosa?»

«Sono distrutto. Devo fare qualcosa. Che cosa posso fare?».

«’A prossima vota, haje tirà cchiù chiano». 

La barzelletta può durare all’infinito, ma non può rinunciare alla battuta finale in dialetto e al passaggio dal voi al tu. È adattabile a tutti i dialetti italiani.

 

| discussioni COME SI CAMBIA  Stamattina il Foglio sportivo si occupa in apertura del suo nuovo numero degli sport che tradiscono il loro DNA per piacere a tutti. Dal calcio al baseball, dalla Formula 1 alla MotoGp: si cambiano le regole per inseguire i giovani. Ma ha senso? – si domanda Umberto Zapelloni nel suo intervento, citando la definizione di Sportify, sotto la quale Slalom da un paio di anni raccoglie gli aggiornamenti sul tema. [Sportify è qui – ringraziamo Zapelloni e il Foglio Sportivo]. 

Lo sport non è un mondo perfetto o un’isola felice. Ci sono conservatori e progressisti anche negli stadi o sulle piste. C’è ancora chi sogna un campionato di calcio con tutte le partite alle 15 della domenica e chi ne vorrebbe una a sera, magari con il tempo effettivo e gli arbitri con il microfono per spiegare le loro decisioni come fanno del rugby. C’è lo sport che corre incontro alle novità, non solo tecnologiche. E lo sport che non cambierebbe nulla per non perdere la sua identità. L’importante sarebbe cambiare regole per un valido motivo. Non solo per piacere ai giovani. Non solo per ottenere un cuoricino in più sui social, ha scritto Zapelloni.

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