Una lezione per Pogačar. La Sanremo non è un selfie

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Quando si dice che la Milano-Sanremo è una corsa facile, bisogna capirsi. Le possibilità di attaccare sono limitate. Il Turchino è troppo lontano anche per i pazzi che ci sono in giro in questo momento, si potrebbe provare sulla Cipressa ma viene usata per sbriciolare il gruppo, quasi tutti aspettano il Poggio: la partenza, la cima o la discesa. Tra le cinque corse Monumento degli ultimi 15 anni la Sanremo è stata quella che ha visto partire l’attacco decisivo più vicino al traguardo, in media a 3,33 km.

Quindi state tranquilli – avvertiva ieri L’Équipe – non c’è bisogno di accendere la televisione a 180 dall’arrivo.

È una questione di punti di vista. La Sanremo è così piena di niente da poter essere riempita di tutto, le strade di Gianni Brera e Fausto Coppi, le canzoni di Paolo Conte e Francesco De Gregori. Jacinto Benavente una volta ha scritto che la cosa più bella di fare l’amore è salire le scale. La Sanremo è tutta una rampa di scale, anche più di una, prima di arrivare là – sul Poggio dove tutto succede anche quando non succede niente.

Ha bisogno dei suoi tempi la Milano-Sanremo – ha scritto Giovanni Battistuzzi sul Foglio – è la corsa che più di ogni altra detta le regole del gioco e non c’è verso di cambiarle. Sta a chi corre e a chi la guarda accettarle e a non far troppo i bofonchioni. Perché la lunga attesa è sempre propedeutica a un rapimento totale capace di far dimenticare qualsiasi cosa, anche chi si ha attorno o se qualcosa è sul fuoco e andrebbe mescolato. Questione di chilometri che si accumulano inesorabili nelle gambe e che amplificano ogni sforzo“.

 

POGGIO O NON POGGIO, ARRIVEREMO A VIA ROMA

Secondo i dati a disposizione de L’Équipe alla Liegi-Bastogne-Liegi un attacco bisogna aspettarselo quando mancano all’incirca 13 km al traguardo, tra la Roche-aux-faucons come Bob Jungels nel 2018 o alla Côte d’Ans cara ad Alejandro Valverde. Al Giro di Lombardia si parte a una quindicina di km dal traguardo, fra il Passo di Ganda e il Colle Aperto, mentre al Fiandre si aspettano il Vecchio Kwaremont e il Paterberg. Il ciclismo è sempre una faccenda di attesa. 

La più vicina allo spirito del tempo che esige drama e adrenalina, adrenalina e drama, deve essere la Parigi-Roubaix, perché l’attacco decisivo è avvenuto negli ultimi quindici anni in media a 45 km dal velodromo. La battaglia inizia a 100 dalla fine nella foresta d’Arenberg. 

Così la Sanremo diventa la più imprendibile, una saponetta che in ogni momento ti può scappare dalle mani. Si fa sempre in tempo a perderla quando la stai assaggiando, com’è successo a Filippo Ganna e la sua bicicletta capricciosa, a Matej Mohoric che pensava di aver ripetuto in discesa il colpo dell’altr’anno, a Matteo Sobrero che ha sentito il sapore della gloria a 1 km e mezzo dall’arrivo e poi l’amaro, a Tom Pidcock che ha raccolto i moribondi all’altezza della fontana prima di farsi moribondo lui. 

È la ragione della sua bellezza fuori dal tempo e se avevamo bisogno di un’idea della sua bellezza e della sua suspense – ha scritto Alexandre Roos su L’Équipe – il finale di sabato ce ne ha offerto l’illustrazione definitiva. Una guerra aperta nel perimetro di una cabina telefonica (scomparsa), uno spettacolo pirotecnico come non si vedeva da tempo sulla salita del Poggio, lungo la sua pendenza, ma anche per le strade di Sanremo.

 

ELOGIO DI MATHIEU GREGARIO

Pogačar  aveva messo Isaac Del Toro e Tim Wellens a strozzare il gruppo come i capponi a Natale, prima sui tre Capi e poi sulla Cipressa. Voleva isolare Mathieu van der Poel dai suoi compagni, senza considerare che stavolta il compagno era proprio van der Poel, era lui che stava per sacrificare sé stesso e nominare capitano sul campo la ruota più veloce tra i suoi compagni di squadra.

Si è gettato lungo la discesa per chiudere il buco alle spalle dello sloveno e quando buchi non ce n’erano più ha fatto in maglia iridata il gregario a Jasper Philipsen – come del resto era successo già in qualche tappa del Tour de France. 

| Ci sono due modi di leggere la sua corsa dice Roos. Non ha potuto proprio giocarsi le sue carte nel primo giorno di gara della sua stagione, non ha potuto provare nulla sul Poggio, ma è stato un elemento essenziale per la vittoria del compagno quando è andato a mangiare i polpacci di chi provava a scappare nell’ultimo tratto di gara.

Quanto a Philipsen, secondo Roos ha confermato di non essere solo un velocista, dopo il secondo posto dello scorso anno alla Parigi-Roubaix. Questa vittoria lo proietterà inevitabilmente in una nuova dimensione. Ha avuto il merito di credere fino alla fine di poter vincere, nonostante l’attacco del miglior corridore al mondo e nonostante fosse il Piano-B della sua squadra, in omaggio alla natura della Primavera, che non sempre incorona il candidato più ovvio ma regala una seconda possibilità a chi sa resistere.

| Una corsa quasi senza nessun vinto, si legge su Bidon Magazine da Filippo Cauz e Leonardo Piccione. Definiscono Jasper Philipsen una versione aggiornata di Tom Boonen e ricordano che un anno fa, in fondo a quel benedetto rettilineo, c’era voluto quasi un minuto prima che Jasper Philipsen raggiungesse Mathieu van der Poel. Abbandonato per terra, Van der Poel faticava a trovare il fiato per celebrare a dovere il successo appena ottenuto. Ma all’arrivo del compagno si era alzato per abbracciarlo: prima in modo stanco, stiracchiato, pochi secondi dopo col fare liberatorio delle grandi vittorie. È trascorso un anno, ne sono trascorsi centodiciassette, e siamo sempre lì, lo stesso posto, la stessa storia, gli stessi abbracci. Sempre la solita scontata, imprevedibile, travolgente Sanremo.

 

 

PROCESSO ALLA UAE

È stata la più veloce Sanremo di sempre, secondo Pogačar anche una delle corse più facili di sempre. Ha detto di aver sentito gambe pazzesche, di aver corso esattamente come aveva previsto, sul podio c’è salito e ha fatto un selfie con gli altri. Eppure la Sanremo è la Sanremo. 

Chris Marshall-Bell sulla rivista Rouleur sottolinea come di  solito allo sloveno basti un solo lancio di dadi, stavolta ne ha tentati due, ma sembra che non sia sempre tutto facile come un gioco per PlayStation. L’analisi metterà in discussione le tattiche delle grandi squadre – in particolare quella della UAE Team Emirates che ha speso la maggior parte dei suoi proiettili sulla Cipressa – ma a volte è opportuno lasciar perdere i dettagli del si poteva e del si doveva, godendosi invece lo spettacolo messo in scena settimana dopo settimana da uno straordinario gruppo di ciclisti. Tra i primi-10 di Sanremo ci sono vincitori del Tour de France, campioni del mondo e vincitori delle classiche del nord. In altre parole due manciate di Galáticos. Poche corse sanno attrarre un cast di attori così vario, poche corse possono suscitare un’ora finale di corsa così vertiginosa, piena di suspense e di tensione. Ma affinché le corse siano accattivanti e suscitino emozioni, per far alzare lo spettatore dal divano e tenerlo in piedi, le corse hanno bisogno di ciclisti che vogliano farle esplodere. Abbiamo la fortuna di averne tanti in quest’epoca. Hanno capito che questo glorioso sport è una forma di spettacolo. Così, nel terzo sabato di marzo, mentre l’inverno inizia a sfumare nella primavera, siamo stati benedetti ancora una volta da un’altra corsa straordinaria.

| Nelle sue pagelle per Bicisport Alessandra Giardini ha scritto che lui è lui, nel senso di Pogačar, e non dobbiamo spiegarlo oggi, qui, ma la squadra davvero non lo assiste. Non è possibile che dopo aver spiegato urbi et orbi che attaccherà, rimanga da solo troppo presto. Hai Pogačar e non gli dai una squadra che lo assista in una classica poco adatta a lui? Male, malissimo (voto 5). Quanto a Pogi, le gambe non erano quelle di Siena: van der Poel, Ganna e Bettiol sono riusciti a stargli dietro. Voto 10 per Jasper Philipsen da Bicisport e addirittura 11 da Tuttobici, come i suoi giorni di corsa – ha scritto Pier Luigi Stagi – arricchiti da due successi personali e stagionali, compreso quello di oggi, che fa 2, ma vale un’enormità, perché Sanremo è Sanremo. È il velocista più velocista del momento, capace di sprigionare watt dopo chilometri e chilometri corsi sul filo dei 46 km/h (46,112 Km/h): record battuto della corsa. Jasper che i compagni prima chiamavano Disaster ma dal Tour scorso (4 vittorie di tappa) si è trasformato in Master, ha avuto il definitivo battesimo sull’altare di una Monumento, che l’ha reso campione, eterno e immortale.

 

GLI OCCHIALI DA SOLE PERSI DA MATTHEWS

Ha vinto per cinquanta centimetri di pneumatico e il giornale fiammingo Het Nieuwsblad racconta che nel caos dello sprint ci siamo persi un dettaglio. Quel Matthews bruciato sulla linea passando di fianco alle transenne ha perso gli occhiali da sole durante lo sprint, a cinquanta metri dal traguardo. Gli sono caduti improvvisamente dal naso, proprio mentre Philipsen arrivava e hanno colpito la bicicletta di Tadej Pogačar. Avrebbe potuto tenere a bada Philipsen se i suoi occhiali fossero rimasti al loro posto? Non lo sapremo mai, ma l’incidente ha senza dubbio avuto un ruolo. Detto da un giornale belga. 

Wim Vos scrive che la Alpecin è diventata la migliore squadre nelle classiche di un giorno, Jasper molto più di un velocista. Ma allora: Gli conviene rifiutare il rinnovo del contratto e andarsene per qualche dollaro in più?

 

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